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martedì 26 febbraio 2008

Brutti e buoni o brutti ma buoni?

Di ricette di brutti e buoni o brutti ma buoni che dir si voglia, ne devono esistere tante quante sono le nonne o le zie italiane.
Sia come sia, questi sono quelli che faceva mia madre, di cui temevo di non avere la ricetta, salvo scoprire di averla avuta sempre davanti al naso, ma sotto falso nome.
In realtà lei per brutti e buoni intendeva di solito un'altra cosa, una specie di biscotto duro, che mio nonno chiamava inequivocamente straca-ganase, che suona giapponese, ma in realtà è solo mantovano...
Questi invece sono decisamente friabili e non dovrebbero comportare rischi per le dentiere, anche se, a scanso di equivoci, declino qualsivoglia responsabilità per eventuali danni alle protesi ortodontiche :-)
Insomma, voglio dire, c'è il rischio che in realtà questi dolcetti non siano affatto brutti, ma certamente sono ottimi, quindi passiamo oltre.

Il difetto principale di questi dolcetti sta nell'aspetto un po' sgarruppato, come dicono a Napoli, sotto la cui meringata veste si cela in realtà un infido connubio di pasta frolla e mandorla che rende difficile dire basta, specialmente se si viene continuamente distratti dal sacrosanto proposito di mangiare l'ultimissimo e poi più, da qualche petulante amica venuta a prendersi un caffé a casa vostra.


Ingredienti:
190g farina tipo 00
100g burro
100g mandorle
200g zucchero
1 uovo
sale q.b.

Procedimento:
Impastate farina, metà zucchero e il burro ammorbidito con un pizzicone di sale, fino a formare una specie di sfarinato uniforme. Aggiungere il tuorlo dell'uovo, mettendo da parte la chiara. A questo punto procedete a mano perché con il calore aiuterete il burro a fondere e a legare il tutto. Occorrerà però esercitare una certa pressione per fare stare insieme questo impasto piuttosto farinoso.
Stendete la pasta ottenuta su una superficie dove si possa staccare facilmente se avete intenzione di dare forme di animaletti o simili, altrimenti potete stenderla direttamente sulla teglia da forno, spessore neanche mezzo dito, regolatevi anche in base a quanti pezzi volete ottenere.
Tostare e sbriciolare le mandorle (magari lo potete fare pure prima) e mettere da parte.
A questo punto montare la chiara d'uovo con un pizzico di sale e quando è ben soda, unite lo zucchero rimasto. Alla fine mescolare sommariamente con le mandorle tritate.
Stendere infine la copertura sulla pasta frolla e infornare per 45 minuti a circa 150 gradi.

Varianti possibili nella copertura: aggiunta di cacao oppure pezzetti di cioccolato al posto delle mandorle oppure alla messicana (ettepareva...) con cocco grattugiato e cannella in polvere.
Per i più arditi, mandorle intere con caramello filante.

mercoledì 20 febbraio 2008

Pacholas

Checché ne pensiate, in Messico si mangia ottima carne, cucinata nei modi più vari. Dico ciò perché recentemente ho partecipato ad una infervorata discussione da bar sul classico tema "come la fiorentina italiana però non ce ne sono altre".
Ora, siamo sinceri, non so voi ma io la fiorentina la mangerò sì e no due volte all'anno, vuoi perché non sento l'esigenza, vuoi perché una fiorentina propriamente detta deve pesare non meno di 7 etti e se la moltiplicate per il numero di commensali, può essere necessario un mutuo per pagare il macellaio, per cui, in mancanza di tagli di prima categoria, la gente si industria con la fantasia, in Italia come in Messico e quindi nascono tutta una serie di ricette molto sfiziose, tra le quali appunto las pacholas.

Insomma, ero alla ricerca di un modo per cucinare della carne di manzo macinata e mi sono messo a sfogliare qualche rivista regalatami da mio cognato in occasione del nostro ultimo viaggio, imbattendomi in questa ricettina facile facile che potremmo ribattezzare con molta fantasia "svizzere alla messicana".

Las pacholas sono delle specie di hamburger sottili, insaporite con chile e altre spezie. Non sono una specialità del Messico centrale quanto piuttosto delle zone più a nord, dove c'è una maggior tradizione di consumo di carne bovina. A Città del Messico è consuetudine invece mangiare hamburguesas al carbón.

Ingredienti:
600g di carne di manzo tritata
1 chile guajillo
1 chile pasilla bajio
1 spicchio d'aglio
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
2 pizzichi di origano
1/4 di cucchiaino di cumino (opzionale)
sale q.b.
pepe q.b.

Procedimento:
tostare i chiles in una padella con un filo d'olio di semi. Il chile tostato prende un sapore diverso dal chile secco tritato. Questa prassi è molto comune e conferisce un sapore caratteristico, oltre ad un profumo molto stimolante quando si avvicina l'ora di pranzo... Ora, come fare se non si trovano i tipi di chiles richiesti? Mi sento di azzardare una risposta che prevede l'uso di un prodotto italiano assai pregiato, il peperoncino di Senise, che ha la caratteristica di non essere piccante, così come raramente lo è il chile ancho o il pasilla bajio. Nel caso vogliate un gusto moderatamente piccante aggiungete anche un mezzo peperoncino secco calabrese. Consiglio di provare a tostare i peperoncini ugualmente, girandoli nella padella fino a quando non cambiano colore, ma senza aspettare che diventino troppo scuri. Ritirateli dal fuoco e lasciateli raffreddare, quindi apriteli e togliete i semi. A questo punto triturateli assieme ad uno spicchio d'aglio (o due se volete un sapore più forte).

Quindi sbriciolare nel molcajete (o in un più patriottico mortaio...) i chiles tostati e l'aglio. In alcune ricette c'è un passaggio in più che prevede l'ammollo dei chiles per qualche ora, ma venendo triturati, non ne vedo una gran esigenza. Mescolare insieme la carne tritata e la pasta di chile, fino ad ottenere una mescolanza uniforme.
Prendere una palla di impasto e stenderla sottile, diciamo mezzo dito di spessore al massimo, cuocendola poi o su una griglia o in una padella antiaderente.

domenica 17 febbraio 2008

La famosa Torta Barozzi di Vignola

Sgomberiamo subito il campo dagli equivoci, si tratta pur sempre di una imitazione frutto del mio istinto di gozzovigliatore insaziabile, con il solo conforto della memoria impressa nelle papille gustative e della lista degli ingredienti, obbligatoria per legge, presente sulla confezione della torta Barozzi originale.

Ovviamente la vera, unica, inimitabile Barozzi la dovete andare a comprare in via Garibaldi a Vignola, presso la premiata pasticceria Gollini e qualunque altra versione sarà necessariamente un compromesso.
Ne consegue che chi si accontenta gode e, secondo me, vi potete momentaneamente accontentare del mio tentativo che non fa per niente schifo e che ribattezzerò, a scanso di equivoci e querele, torta Tlazzerozzi ;-)

Ma prima di passare alla ricetta, beccatevi un altro immancabile pippardone su cosa sarebbe il mondo senza il Messico.
È inutile che protestiate, mi sembra di sentirvi: "possibile che questo qui c'infili SEMPRE questi sermoni sul Messico anche quando parla di tortellini?". - Sì e zitti!

Dicevo, prima che mi interrompeste con quelle vocine querule, se guardiamo gli ingredienti principali della torta Barozzi, è piuttosto difficile non scorgere la furtiva manina di qualche divinità azteca, dato che vi compaiono cacao e arachidi. Tralasciamo pure che lo zucchero di canna sia originario dei Caraibi e concentriamo l'attenzione sui 2 principali ingredienti. Per qualche curioso motivo i semi di cacao, in lingua nahuátl si chiamano cacahuatl, parola che spagnoli e francesi hanno poi storpiato per denominare invece le arachidi... (cacahuates, divenuto cacahuettes per i transalpins).

Le arachidi invece in nahuátl si chiamano tlalcacahuatl (noccioline di terra), per distinguerle da quelle che nascono sugli alberi (del cacao appunto).

Dopo questa necessaria perorazione della Madre Tierra, veniamo infine al nocciolo della faccenda (che sarebbero appunto le noccioline americane...), perché nel corso degli anni, è capitato innumerevoli volte di assaggiare imitazioni di Barozzi, buonine, buonissime, buonerrime, ma mai filologiche. Tutte le volte che ho potuto, ho chiesto come mai non fossero presenti le arachidi e le risposte sono sempre state vaghe. Eppure bastava leggere il retro della confezione della torta originale, dove si parla di arachidi e poche mandorle, mica c'era da scomodare il ROS dei Carabinieri...
Fate una ricerca sul web e vedrete un florilegio di ricette contenente di tutto, fuor che le imprescindibili arachidi che danno alla Barozzi quel saporino inconfondibile di... arachide!

Io, tra l'altro, amando la dietrologia, ho una teoria personale sull'epifania che dovette sperimentare il buon Eugenio Gollini quando inventò questa torta ai primi del novecento e non so dirvi come e perché, ma sono convinto che lui si sia ispirato ai brownies americani. Ora, ai primi del novecento mica esisteva internet, per andare in America e tornare ci volevano mesi, sempre che non v'imbarcaste sul Titanic, però, chissà, magari avrà letto una ricetta sulla Domenica del Corriere o gliela raccontò qualcuno, non so, però che risate si farebbero le nipoti a sentire queste mie teorie bislacche sulla genesi di questa opera d'arte dolciaria.

Sia come sia, un giorno, mentre girovagavo per l'aeroporto O'Hare di Chicago, comprai dei brownies in uno degli immancabili chioschi di hot dogs e rimasi folgorato dalla somiglianza: stesso spessore, stessa consistenza, carta stagnola intorno, cioccolato, caffé e arachidi...

Coincidenza? Chiaroveggenza? Metempsicosi? Telecinesi?
Oppure Gollini era in realtà un agente della CIA che sfornava i brownies sotto copertura?

Insomma, mettetela come volete, se volete fare la Barozzi, lavorate su qualcosa in cui la proporzione tra arichidi e mandorle sia decisamente a favore delle prime se no state perdendo tempo con una torta al cacao e mandorle e basta e vi diffido dal chiamarla Barozzi!

Che poi sarebbe pure ora di spiegare chi diamine fosse 'sto Jacopo Barozzi, detto il Vignola.
Siccome però di chiacchiere ne ho già fatte tante e tra l'altro un'immagine vale mille parole, vi metto un po' di collegamenti a questo grandissimo architetto rinascimentale reso celebre dalla torta postuma ;-)

Ingredienti:
300g zucchero
200g arachidi tostate non salate (quelle da sbucciare insomma, non i salatini...)
100g mandorle (che potete calare ancora aumentando proporzionalmente le arachidi)
100g cacao
100g burro
6 cucchiaini di caffè macinato
4 uova
1 bustina vaniglia
1 pizzico di sale

Procedimento:
tostare le mandorle e macinarle finemente, a questo scopo funziona egregiamente un macinino da caffè di quelli di una volta. Macinare anche le arachidi e/o il caffè se non è già macinato. Macinare anche lo zucchero per ricavare zucchero a velo e aggiungere assieme alla vaniglia. Mescolare il tutto assieme a secco, amalgamando per bene, non ci devono essere grumi, deve risultare una polvere omogenea. Separare quindi i tuorli dalle chiare, versando i primi assieme al resto.
Montare le chiare a neve ferma con un pizzico di sale. Aggiungere il burro fuso e amalgamare assieme ai tuorli e al composto, unendo infine le chiare.


Si dovrebbe ottenere un composto piuttosto denso, che verserete in una teglia bassa ricoperta di carta stagnola. Stendete uniformemente, con un po' di pazienza dovreste ottenere un ottimo risultato perché non dovrebbe attaccarsi eccessivamente. Ricoprite con un altro foglio di stagnola o con un riporto (alla Schifani...) come ho fatto io, che ho utilizzato un foglio di lunghezza doppia.

Infornate per 30 minuti a 160 gradi e... correte a Vignola a comprare l'originale, se non vi dovesse piacere.

:-D

sabato 16 febbraio 2008

Il ministeriale di Scaturchio

Oggi ho finalmente ricevuto dalla mia amica Sibilla, sopraffina cuoca partenopea e parte napoletana (cit. Totò), un pacco contenente nientepopodimeno che i celebri ministeriali di Scaturchio, come contropartita ad una torta Barozzi che le inviai tempo addietro, altra specialità gastronomica a cui, prima o poi, dovrò dedicare pure qualche riga. In realtà la mariuola non si è limitata a mandarmi i ministeriali, ma ha voluto strafare e mi ha riempito pure di pregiatissima pasta di Gragnano, che dovrò onorare con un sugo come si deve, a costo di andare ad estorcere la ricetta degli "scialatielli" al profumo di mare dal mio amico Domenico... e che diamine, ubi maior...

Ma, tregua alle ciance, la storia del ministeriale è stampata su una bella cartolina che accompagna la scatola in stile vagamente déco (vedi foto in basso), dentro la quale si celano i preziosi medaglioni di cioccolato ripieno.
In realtà sembra che la versione stampata sia stata rimaneggiata, perché manca il prologo piccante che diede inizio a tutta la saga, che invece è raccontato nella apposita pagina del sito ufficiale di Scaturchio, per cui non starò a ripetervela qua io.

Così come nel caso della torta Barozzi dunque la confezione semplice ma curata ci presenta una delizia del palato che si tramanda ormai da varie generazioni e che vanta estimatori in tutto il mondo.

Il ministeriale è una sublime fusione di profumi di cioccolato e rhum (negli ingredienti non confessano però l'uso del rhum, ma parlano genericamente di alcool e aromi), ma io giurerei che si tratti di rhum, in fondo è un binomio classico. Alla leggera presenza del liquore, che emana un'eterea fragranza all'apertura della scatola, si aggiunge la pasta di nocciole e probabilmente un tocco di vaniglia, divinamente uniti in un ripieno reso cremoso dalla presenza di latte e zucchero.

Si capisce dunque come mai l'iter amministrativo che condusse il ministeriale ai fini palati dei Savoia fu tanto lungo e travagliato, evidentemente tra assaggi e contro-assaggi gli zelanti funzionari statali diedero il meglio (o il peggio) di sé ed anche questo modello di burocrazia in fondo rimane una tradizione arrivata pressoché intatta fino ai nostri giorni, con qualche notabile eccezione.

lunedì 11 febbraio 2008

Briouats con carne tritata

Con somma incoerenza e compiendo quasi un falso ideologico (come qualcuno mi fece notare...), durante l'ultimo viaggio in Messico, mentre stavo curiosando nella libreria del Sanborns di Coyoacán, m'è caduto l'occhio su un bel libro intitolato "La cocina marroquí" che volendo potete persino comprare on-line nel sito dell'editore Blume. Sfogliando le ricette ben corredate di bellissime fotografie, m'è venuta l'acquolina in bocca e non ho potuto resistere dal comprarlo.
La cucina del Marocco è sicuramente nelle mie corde, soprattutto da quando il mio amico Aziz mi ha insegnato i "segreti" del cous-cous.
Sono sempre restio a parlare di ricette che non ho assaggiato nel luogo d'origine, perché sono quasi sicuro di commettere qualche peccato d'omissione, però ho deciso di rompere gli indugi, anche perché mia moglie è diventata a sua volta una assidua frequentatrice di queste ricette e ne ha già messe in pratica diverse riscuotendo grande successo, quindi credo valga la pena di parlarne a prescindere dalla fedeltà all'originale.

Una delle prime che ho messo in pratica, dopo aver scovato la famigerata pasta fillo surgelata in un supermercato, è appunto quella dei briouats di carne tritata, che nella versione originale dovrebbe essere carne tritata di agnello, ma nel mio tentativo è stata sostituita da una comune carne di manzo.
Con "briouats" si indicano in genere tutti questi succulenti rotolini a base di pasta fillo, variamente farciti, partendo dal pesce, passando per il formaggio di capra, per finire con la frutta secca. Per quel che ho potuto constatare, moltissime ricette prevedono la frittura però questa è evidentemente una versione "light" dato che si mettono al forno... :-D

Ingredienti per 24 briouats:
8 lamine di pasta fillo (variabile a seconda delle dimensioni)
350g di carne di agnello tritata (sostituibile con vitello o manzo se non la trovate)
1 cipolla piccola
2 spicchi d'aglio
2 cucchiaini di cumino in polvere
mezzo cucchiaino di zenzero in polvere
mezzo cucchiaino di paprika dolce
mezzo cucchiaino di cannella in polvere
un pizzico di pistilli di zafferano
2 cucchiai di coriandolo fresco tritato
2 cucchiai di prezzemolo fresco tritato
1 uovo
1 cucchiaio di olio extravergine d'oliva
90g burro
1 cucchiaio di sesamo
harissa al gusto

Procedimento:
Friggere in una padella a fuoco basso la cipolla tritata finemente per il tempo necessario a farla appassire, quindi aggiungere l'aglio tritato e la carne, mescolando il tutto a fuoco vivace per 5 minuti. Aggiungere le spezie. lo zafferano messo a bagno in una tazzina d'acqua tiepida, il coriandolo e il prezzemolo. Se volete aggiungete anche la harissa. Salate a sufficienza e cuocete per un altro minuto circa e poi togliete la padella dal fuoco. Lasciar raffreddare, eliminare l'eccesso di grasso (se c'è) e mescolare con l'uovo.

Se la pasta fillo era congelata, è chiaro che bisogna averla tirata fuori per tempo.
Svolgere i rotoli di pasta e verificarne la lunghezza. Si devono ottenere strisce di circa 30 cm di lunghezza per 12-13 di larghezza, quindi può essere necessario tagliare i rotoli per raggiungere queste dimensioni. Con la pasta che ho comprato non è stato difficile perché ciascun rotolo era di circa 60 cm.
A questo punto, in base al numero di strisce suddividete il ripieno in parti uguali.
Sciogliete il burro che adopererete per spennellare la pasta.
Mettete il ripieno a 1 cm dai bordi della striscia e ripiegate i tre lati, dopo di che iniziate ad arrotolare. Spennellate il rotolo con un po' di burro e cospargete di semi di sesamo.
Disponeteli su un foglio di carta da forno dentro ad una teglia da forno e cuocete a 180 gradi per 15 minuti circa.

sabato 9 febbraio 2008

Testarolo al pesto

Ho scoperto i testaroli a 40 anni suonati, durante un invito a cena (senza delitto) da una amica di mia moglie. Se non fosse stato per lei, probabilmente avrei continuato a vivere nella più becera ignoranza.

Sì perché il testarolo è difficile da reperire al di fuori del territorio d'origine, la lunigiana, il che lo rende una specie di fossile gastronomico "vivente", essendo giunto quasi inalterato dall'epoca romana fino a noi, qualcosa quindi da degustare in loco o da comprare nei negozietti del posto o se proprio non resistete alla tentazione, via internet.

Insomma, quando lo vidi per la prima volta, rimasi perplesso, ma anche affascinato da questo strano disco molliccio dal profumo affumicato e l'idea di metterlo a cuocere nell'acqua bollente ma a fiamma spenta, mi sembrava quasi un capriccio.

Inutile dire che dopo l'assaggio, il testarolo è diventato un inseparabile appuntamento, se non addirittura un motivo irrinunciabile per una gita molto fuori porta un paio di volte all'anno.

Non vi starò a tediare oltre con le mie menate, anche perché la ricetta del testarolo è quasi banale, almeno quanto lo può essere la ricetta di un buon pesto alla genovese. In realtà sembra che si abbini bene anche ad un sugo a base di funghi o di noci, però cosa volete che vi dica, per me il pesto alla genovese è proprio la morte sua.

Di fare il testarolo a casa non ci penso proprio, servirebbe un testo di argilla da scaldare sulle braci e quindi, siamo sinceri, si fa prima a comprarlo già fatto, anche se la ricetta di per sè non sembra particolarmente difficile.

Checché riportino alcune ricette, la dose giusta per 4 persone è di 2 testaroli, diciamo che al limite ne avanzerà un piattino per fare uno striminzito bis.

La difficoltà sta quindi tutta nel preparare un bel pesto alla genovese (o una sua umile imitazione, come nel mio caso...), sapendo che i genovesi doc ci concederanno al massimo le attenuanti generiche solo dopo aver verificato che l'olio extravergine d'oliva sia ligure, così come il basilico e sorvolando sull'origine dell'aglio o del pecorino.

In ogni caso, declinando sin da ora qualsivoglia responsabilità, dichiaro che a me piace di più il pesto senza aglio. E adesso sparatemi pure, se volete.

Ingredienti per 2 testaroli (4 persone):
80g di basilico fresco circa
1 bicchiere d'olio extravergine d'oliva ligure
3 cucchiai di parmigiano reggiano grattugiato
3 cucchiai di pecorino grattugiato
2 spicchi d'aglio
1 cucchiao di pinoli
sale grosso q.b.

Per la religiosa esecuzione del pesto, rimando all'ottima descrizione nel sito del consorzio del pesto.



PS: ieri ho trovato i testaroli al Carrefour di Bologna. Ho fatto incetta. :-)

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