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lunedì 26 ottobre 2009

Arroz a la tumbada

E dopo il chilpachole, ecco il secondo piatto costeño, veracruzano, specialità della cittadina di Alvarado, l'arroz a la tumbada, che ho scoperto durante la mia recente trasferta a San Francisco, grazie ad una memorabile cena al ristorante Zazil.


Prima di tutto voglio dedicare questa ricetta all'amica Rebecca, per almeno tre ottimi motivi.
Grazie al blog from Argentina with love ho conosciuto tante stupende ricette di cucina argentina, condite di belle fotografie e viste con l'occhio e la passione di chi non è nato in Argentina e quindi doppiamente meritevole. Poi, con un'iniziativa inaspettata quanto gradita, Rebecca ha preso molto seriamente alcune mie frasi nostalgiche e ha pensato di mandarmi dei generi di conforto messicani che ho prontamente usato per la ricetta di oggi e infine, siccome è in procinto di trasferirsi in Messico, proprio a Veracruz, questo piatto succulento serve anche per darle un'idea concreta di cosa l'aspetta in tavola da quelle parti.

Ma che sarebbe in definitiva questo arroz a la tumbada?
Potremmo definirlo sbrigativamente una sontuosa zuppa di pesce alla messicana con riso, una bouillabaisse per dirla alla francese.
Pare che a la tumbada in questo contesto abbia il significato quasi romanesco, di riso allo scottadito perché va servito bollente. Al ristorante Zazil infatti mi venne servito in una specie di marmitta di acciaio temperato che doveva essere stato in forno fino ad un istante prima, dato che arrivò in tavola ancora gorgogliante.

Ingredienti:
400g di riso
200g di gallinella o triglia
200g di anelli di totano o seppie
200g di ciuffi di totano o polipetti
200g di mazzancolle o gamberi
200g di granchi (ma a Veracruz mettono jaiba)
4 scampi grandi oppure 2 astici o addirittura aragosta.
100g di burro (50g per il primo soffritto e 50g per il secondo)
2 cucchiai d'olio di mais (o di oliva)
4 pomodori rossi pelati (1 scatola di pelati da 400g va benissimo)
2 cipolle medie
2 spicchi d'aglio grandi (oppure 4 piccoli)
4 chiles serranos
2 chiles de árbol

un mazzetto di prezzemolo fresco
un mazzetto di coriandolo fresco
un ciuffo di epazote fresco o disidratato
sale q.b.

Procedimento:
per prima cosa occorre preparare il brodo di pesce, se non ne avete già per qualche altro motivo. A questo scopo io avevo preso le gallinelle, i granchi, i ciuffi di totani e le mazzancolle, queste ultime però cotte solo 5 minuti e poi ritirate per essere sgusciate e pulite. Ovviamente siete liberi di aggiungere o cambiare i tipi di pesce, come tutte le zuppe di pesce si suppone che venga fatta col pesce fresco disponibile. Il brodo l'ho lasciato bollire finché i totani non sono diventati teneri e le gallinelle praticamente sfatte.
Mentre il brodo va per conto suo, a fuoco moderato, si procede con la salsa di pomodoro. Per questa fase conviene usare una pentola di coccio capiente, che servirà poi per servire tutta la zuppa. Le pentole di coccio si prestano molto per questa zuppa perché mantengono il calore più a lungo di quelle d'acciaio e quindi la zuppa sembrerà proprio tumbada del fogón.
Si tritano una cipolla e gli spicchi d'aglio piuttosto finemente e si fanno soffriggere in un misto di burro e olio di mais (o di oliva se preferite). So che sembra strano l'uso del burro, però tutte le ricette parlano di burro con aggiunta di qualche cucchiaio d'olio. Mentre la cipolla appassisce, si tagliano a striscioline i chiles serranos, togliendo i semi se non volete una zuppa molto piccante ed aggiungendoli al soffritto.


Quindi, quando la cipolla è imbiondita, si aggiungono i pomodori pelati. Si aggiunge un po' di sale, senza esagerare perché poi conviene salare il tutto quando viene unito al brodo di pesce, si lascia cuocere almeno 15 minuti, come se si trattasse di fare un sugo di pomodoro. In questa fase si possono aggiungere anche due chiles de árbol interi che servono a profumare ulteriormente il brodetto.



Quando i pomodori sono diventati salsa si aggiunge il brodo di pesce filtrandolo, se è pronto, se no si attende.
Dopo aver aggiunto il brodo, fino a riempiere appena oltre la metà la pentola, si pescano le parti commestibili rimaste nell'altra pentola col resto del brodo, i ciuffi di totano sicuramente, alcune parti della polpa dei pesci cercando di eliminare le spine. Le mazzancolle dovreste averle già tolte e pulite in precedenza e siccome sono già cotte, vale la pena metterle per ultime, poco prima di servire. Se riuscite, potete aprire i granchi ed estrarne la polpa, specialmente se sono grossi, altrimenti non vale la pena.

A questo punto aggiungere un pizzico di epazote secco, oppure una decina di foglie di quello fresco. L'epazote ha un odore caratteristico che non a tutti piace, in genere si usa con parsimonia.
Aggiustare di sale, se è il caso.
Non rimane che preparare il riso. Ora, io, siccome volevo strafare, ho preso un riso integrale senza accorgermi che era del tipo parboiled, che in genere detesto abbastanza. Consiglio di usare piuttosto un riso tipo l'originario, non il basmati che si cuocerebbe troppo velocemente, ma nemmeno un rolo o un vialone nano che c'entrano poco con il riso messicano. Sia come sia, alla fine questo riso integrale parboiled non era malvagio, ma forse nemmeno il massimo, comunque tant'è.

Il riso si fa tostare come se stessimo preparando un risotto, cioè con il suo trito di cipolla soffritta nel burro. Quando la cipolla è imbiondita si aggiunge il riso e lo si mescola spesso, finché i grani non cambiano leggermente colore.

Infine si versa il riso nel brodetto, che deve ovviamente essere molto liquido.
Si fa andare per circa 15 minuti e si approfitta di questo tempo per tritare gli ultimi aromi freschi, un mazzetto di coriandolo e uno di prezzemolo. Ho letto varie ricette e in alcune c'era il coriandolo, in altre prezzemolo.
Ho salomonicamente deciso che andavano entrambe e secondo me feci bene.

A cinque minuti dalla fine, più o meno, versate nella zuppa gli ultimi pesci: gli anelli di seppia e gli scampi. Gli anelli di seppia vanno cotti poco perché rimangano teneri e gli scampi non necessitano in effetti di una cottura più lunga.

Servire in ciotole capienti, guarnendo con il prezzemolo e il coriandolo e ripartendo democraticamente i crostacei pregiati. In effetti i 4 scampi mi sono costati come tutti gli altri ingredienti messi insieme.

L'arroz a la tumbada si può servire con corredo di tortilla, ma io non ne vedo molto la necessità vista l'abbondante presenza di riso.
È una zuppa veramente ricca e si può considerare a tutti gli effetti un piatto unico.
Se penso che a San Francisco l'ho fatta precedere persino dal chilpachole, mi chiedo come ho fatto ad arrivarci in fondo, ma forse il mio giropanza potrebbe spiegarlo benissimo...

domenica 18 ottobre 2009

Chilpachole de camarón (o cangrejo)

Sull'onda dell'entusiamo per la recente scoperta del chilpachole, degustato con immensa goduria al ristorante Zazil di San Francisco, mi ero ripromesso di tentare quanto prima un'imitazione. Ma quando ieri sera ho scoperto che una delle prime ricette trovate sul web era di Karen Hursh Graber, di cui trovate permanentemente il link al sito nella colonna di sinistra, beh, sapevo che stasera avrei cenato chilpachole a costo di andare a pescare i gamberi di persona.

Dicesi chilpachole: una zuppa a base di crostacei e chiles tipica dello stato di Veracruz e della costa del golfo. Il nome di questo piatto viene dal nahuátl, in cui la prima parola è facile da riconoscere chilli (peperoncino) + patzolli che significa qualcosa di tritato o triturato.

In realtà ho leggermente modificato la ricetta per farla più somigliante a quella del ristorante, dove questa zuppa viene servita con striscioline di tortillas croccanti, ma soprattutto il contributo dei chiles viene esaltato dalle diverse varietà impiegate, mentre nella ricetta di Karen sono previsti unicamente chiles anchos. La scelta dei chiles però riflette i miei gusti personali e non coincide con quella del ristorante dove peraltro hanno usato granchio (probabilmente jaiba) mentre io mi sono dovuto accontentare dei gamberoni e delle mazzancolle...

Ingredienti:
1 litro di brodo di pesce (in mancanza di quello fatto fresco, accontentarsi di quello liofilizzato)
400g di pomodori pelati
300g di gamberoni
200g di mazzancolle
6 tortillas
4 spicchi d'aglio grandi
2 cucchiai d'olio d'oliva
1 cipolla media
1 chile ancho
1 chile guajillo
1 chile morita
1 chile pasilla
1 chile cascabel (per guarnire, opzionale)
mezzo cucchiaino di semi di cumino
un cucchiaino di origano secco
mezzo cucchiaino di timo secco
un mazzetto di coriandolo fresco
qualche foglia di epazote (opzionale)
sale q.b.
olio per friggere q.b.

Procedimento:
Mettere a bagno in circa mezzo litro d'acqua bollente i chiles, dopo averne rimosso i semi. Mentre i chiles si ammorbidiscono, preparare il resto, a cominciare dal brodo di pesce, che, se non avete pronto, dovrete rimediare usando di quello liofilizzato. Quando bolle, aggiungere gamberoni e mazzancolle.
Mettete nel frullatore i pelati, l'aglio, la cipolla tagliata a fette, gli odori e i chiles quando saranno ben ammollati e un goccio di brodo, riducendo tutto a una crema. In una pentola di terracotta, che fa più atmosfera messicana, mettete due cucchiai d'olio d'oliva e la salsa frullata, cuocendo per circa 20 minuti e aggiungendo gradatamente il brodo, ma non tutto. Mentre la zuppa cuoce, pulire gamberoni e mazzancolle, rimuovendo gusci e il filo intestinale che spesso contiene sabbia, infine tritarne la polpa e aggiungerla alla zuppa. Aggiustare di sale secondo i gusti.
Per la densità della zuppa potete regolarvi come credete, se la volete più fitta, aggiungete solo una parte del brodo e/o l'acqua d'ammollo dei chiles.
Approfittare degli ultimi 10 minuti di bollitura per friggere le tortillas tagliate a striscioline sottili, facendole dorare per bene e tritando il coriandolo fresco che in questa zuppa da veramente un tocco particolare.

La tortilla e il coriandolo si mettono direttamente in ciascun piatto.
Nella ricetta di Karen c'è anche l'avocado, ma qua l'avocado bisogna sempre prenderlo con dieci giorni d'anticipo perché sembra una palla da tennis e purtroppo dieci giorni fa non sapevo nemmeno cosa fosse il chilpachole...
A questo punto non mi resta che pensare alla prossima sfida, l'arroz a la tumbada, un'altra superba ricetta costeña.

venerdì 16 ottobre 2009

San Francisco, 24sima strada e... dintorni

Ed eccomi di ritorno da San Francisco per la seconda volta nel giro di pochi mesi.
Questa volta però ho avuto tempo sufficiente per fare rifornimento di generi messicani di prima necessità, leggi farina di mais, la famosa maseca, indispensabile per fare delle tortillas decenti, per non dire buone, a queste longitudini.


Benché la comunità messicana di San Francisco sia sparpagliata in ogni angolo della città, la 24-sima strada nel Mission District di San Francisco è il fulcro delle attività commerciali e camminare per questa via è quasi come farsi una passeggiata nella Madre Tierra.
Abbondano le taquerias, i negozi di generi alimentari freschi, ristoranti e qualunque altro genere possa servire per far sentire a casa propria il messicano emigrato.
Di fronte alla possibilità di fare colazione alla messicana per quasi una settimana di fila, non mi sono tirato indietro e anche a costo di farmi delle discrete scarpinate, ho approfittato della ghiotta occasione per rinfrescarmi un po' le papille gustative.
A giorni alterni ho quindi potuto assaporare enchiladas, huevos e torta, preparati senza compromessi per compiacere i gusti locali.
Bisogna dire infatti che non tutti i locali messicani sono all'altezza delle aspettative e trovare quello veramente buono richiede o un colpo di fortuna o qualche dritta da parte di chi vive nel posto. Nel mio caso è contato molto il colpo di fortuna e un po' di istinto, perché ho scelto uno dei pochi posti dove non comparivano nel menu i burritos :-) che secondo me è sempre un buon segno.

Con questa semplice regola empirica sono finito a "La torta gorda", ristorantino specializzato in cucina poblana (cioè dell'area della città di Puebla) e da allora non mi è venuta più voglia di cambiare posto.
Il primo giorno mi sono concesso delle enchiladas de pollo en salsa verde con arroz a la mexicana.

La seconda volta invece huevos con chorizo.

La terza ed ahimè ultima, una torta al pastor, cioè un panino farcito con carne di maiale, ananas, avocado, formaggio e salsa al chipotle, come direbbe Lorenzo, una specie di Lidl tra due fette di pane, solo molto meglio!


Dato che dirimpetto al ristorante c'era pure una panaderia di quelle coi fiocchi, non ho potuto esimermi dal comprare un po' di pan dulce da gustare la mattina seguente.



Purtroppo ho mancato di pochi giorni il periodo in cui preparano il pan de muertos e sarei stato veramente entusiasta di assaggiare quello della Panadería Mexicana, perché tutto quel che ho assaggiato lì era squisito.


Tra le specialità finora ignote, mi ha entusiasmato la quesadilla salvadoreña, una specie di tortina soffice e dal gusto dolce-salato di cui dovrò mettermi a cercare la ricetta e las conchas de coco, veramente sublimi, alla quale, evidentemente, non ho avuto nemmeno il tempo di scattare una foto, era già scomparsa tra le fauci :-D

Una sera però ho deciso di fare un'eccezione e anziché cercare qualcosa nella 24sima, mi sono ricordato di un ristorante messicano, "Zazil", in verità assai chic, dentro un centro commerciale di Market Street, in pieno centro. Anche se io non sono esattamente il tipo da ristorante chic, devo dire che la cena è stata decisamente indimenticabile: chilpachole de cangrejo, una zuppa piccante a base di polpa di granchio e quattro tipi diversi di chiles e arroz a la tumbada, deliziosa versione messicana di zuppa di pesce con riso, servita in una marmitta di acciaio spessa due dita alla temperatura del piombo fuso.
Purtroppo niente foto, l'atmosfera con le luci soffuse ha reso vano qualunque tentativo di immortalare i piatti.

Al sabato invece immancabile appuntamento al Farmers' Market, intorno al Ferry Building. Dopo aver gironzolato tra i vari banchetti, l'occhio è caduto su un piatto di panuchos preparati da valenti paisanos.

Non so se fossero filologici al 100%, però erano decisamente da leccarsi le dita!

martedì 6 ottobre 2009

Pan de fiesta

Tutto ebbe inizio mesi fa, quando vidi una foto nel bellissimo gruppo di fotografie Sabor a México, su Flickr. Un sontuoso pan de fiesta, di quelli che si comprano sui banchetti in certe feste paesane in Messico, decorati con frutta candita e, presumo, un velo di crema pasticcera.
Come potete constatare, io come artista sono una vera frana, però la prossima volta conto di lasciar fare le decorazioni al resto della famiglia che sembra avere molto più talento artistico del qui presente.

Le settimane passavano e io non mi decidevo mai a fare questo pan de fiesta, sia perché in realtà non avevo una ricetta di riferimento, sia perché le notizie in proposito erano vaghe, l'impasto assomiglia a questo, no assomiglia di più a quell'altro, finché l'altro ieri ho rotto gli induci e mi sono messo a cercare, trovando un ottimo punto di partenza nella ricetta del pan de fiesta di Gumer.
Pochissime le variazioni: ho raddoppiato la quantità di zucchero, perché secondo me era davvero troppo poco per un pane che comunque deve avere una sfumatura dolciastra. Poi ho usato lievito di birra fresco anziché secco, ma non saprei dire se in proporzione sia di più o di meno, diciamo che sono andato con la mia esperienza in base alla quantità di farina e infatti il pane è lievitato molto bene. Un pelino in più di burro per farlo più brioscioso.
Infine ho aggiunto la crema decorativa che invece lui non ha messo proprio.

Ci avrò preso?

Ingredienti:
560g di farina tipo 0
250ml di latte intero
100g di zucchero
75g di burro
8g di lievito di birra fresco (1/4 di cubetto)
2 uova medie
2 cucchiaini rasi di sale

per la decorazione:
crema pasticcera (dosi per un tuorlo, vedi ricetta delle chilindrinas)
un tuorlo
un cucchiaio di latte
semi di sesamo q.b.
frutta candita (opzionale)

Procedimento:
sciogliere il lievito con due cucchiaini di zucchero mescolando finché non si liquefa (come il miracolo di San Gennaro!). Mescolare la farina con lo zucchero, il sale, le uova e il burro ammorbidito, aggiungendo il latte un po' alla volta assieme al lievito sciolto. Queste operazioni preliminari le faccio ormai sempre con l'impastatrice.
Otterrete un impasto piuttosto colloso dopo una decina di minuti, che, dopo la lievitazione lavorerete a mano con l'aiuto di un po' di farina aggiuntiva. Quindi non vi spaventate se l'impasto è molto umido e appiccicoso, è normale. Lasciatelo lievitare coperto fino al raddoppio (sono necessarie diverse ore, io di solito lo lascio lavorare tutta la notte), poi mettete un po' di farina sulla spianatoia e sgonfiatelo, impastando a mano, questo tipo di impasto è veramente godurioso da lavorare con le mani infarinate, è soffice ed elastico.
Suddivitelo in tre parti uguali, due per fare le trecce laterali e una per l'interno.

Ho steso una delle tre parti a forma di ovale e le altre due le ho trasformate in due lunghe salsicce, che poi ho intrecciato tra loro e stese attorno all'ovale centrale.
Poi, mentre questo semilavorato lievitava al coperto dentro al forno spento, ho preparato la crema pasticcera da stendere sopra alla parte centrale e la frutta candita tagliata in lamine sottili, per evitare che cuocendo diventi dura come una suola.

Per la crema pasticcera, la solita ricetta già usata in altre occasioni (un uovo è più che sufficiente). Si stende giusto un velo di crema e poi si decora come si crede.
Mentre decorate, scaldate il forno a 180 gradi. Concludete l'opera bagnando la treccia con un tuorlo sbattuto con un po' di latte e decorando con semi di sesamo.
Infilate il pan de fiesta per circa 25 minuti o comunque fino a quando la treccia non assumerà un bel colorito rossastro e poi... resistere, resistere, resistere, almeno fino all'ora di colazione :-)

domenica 4 ottobre 2009

Tacos al pastor - quasi

Penso di non sbagliare a dire che, nell'immaginario collettivo, la cucina messicana è sinonimo di tacos e delle sue multiformi varianti, comprese quelle apocrife dei burritos e delle fajitas tanto popolari nei sedicenti ristoranti messicani europei.
Se il taco è l'ambasciatore della cucina messicana, quella di strada però, posso affermare senza tema di smentita che il taco al pastor ne è il Re.

Sebbene l'origine del taco al pastor sia piuttosto recente, in tutte le taquerias degne di questo nome, il taco al pastor fa storia a sé, perché richiede una preparazione speciale, tramite l'apposito spiedo rotante verticale che nella versione moderna è identico a quello usato per preparare kebab e gyros da turchi, arabi e greci dalle nostre parti.
La somiglianza però finisce lì per il semplice fatto che il taco al pastor è a base di carne di maiale.

Quando si parla di tacos al pastor a Città del Messico, per me si parla della taqueria el tizoncito, che, non so quanto legittimamente, ne rivendica l'invenzione verso la fine degli anni '60. Sia vera o meno quella rivendicazione, chi li ha inventati doveva essere a suo modo un genio gastronomico perché ha mirabilmente combinato una serie di ingredienti che si sposano perfettamente dando vita a qualcosa dal sapore unico e inconfondibile.
L'aspetto che più mi affascina del taco al pastor è infatti la composizione utilizzando ingredienti che presi uno a uno non mi fanno impazzire, la cipolla cruda, il coriandolo fresco soprattutto, non mi entusiasmano presi da soli, ma in un taco al pastor la mancanza di uno solo di essi diverrebbe fatale.
Questo condimento chiamato al pastor costituito da ananas, cipolla e coriandolo freschi e dalla marinatura in achiote ha avuto molto successo e viene usato anche per altre specialità di strada, come la torta de pierna al pastor, cioè un panino farcito con carne di coscia di maiale.

Al tizoncito vale la pena andare anche solo per vedere in azione i taqueros professionisti, capaci di creare un taco in pochi secondi mulinando un coltellaccio che farebbe l'invidia di Jack the ripper per affettare la carne dallo spiedo e per staccare tre spicchi di ananas dalla cima dello spiedo che finiscono per atterrare sempre dentro al taco tenuto dietro la schiena, roba che neanche al Cirque du Soleil sarebbero in grado di fare.

La consuetudine di famiglia vuole che all'arrivo a Città del Messico non si vada a depositare le valigie se prima non si è andati a mangiare almeno due tacos al pastor al Tizoncito che per fortuna non sta lontano da casa.

Primero lo primero, como se dice.


Ingredienti per una ventina di tacos:
1 Kg coppa fresca di maiale
50g coriandolo fresco
un ananas fresco (non in scatola!)
una cipolla grossa
lime
pasta di achiote
chile guajillo (a piacere)
salsa taquera (a piacere)
succo di arancia o limone
sale q.b.


Procedimento:
Non disponendo di spiedo verticale rotante, bisogna inventarsi una maniera alternativa di cuocere la carne.
Come indicato negli ingredienti conviene usare carne come la coppa, intrecciata, non quella magra che tenderebbe a diventare troppo secca.
Sappiate che mentre i tacos al pastor originali vengono cotti praticamente alla brace, con il calore laterale proveniente dal trespolo in cui vengono mantenute ammucchiate le braci, dovendo farli in casa bisogna ricorrere a degli espedienti per evitare di ritrovarsi con carne poco cotta o troppo secca.
Dopo vari tentativi non sempre soddisfacenti, sono giunto alla conclusione che convenga fare in questo modo:
preparare la carne come nel caso delle carnitas, quando la carne è cotta, ma prima che inizi a friggere nella fase finale della cottura, pescatela e affettatela il più sottile possibile.
Preparate la marinatura sciogliendo un quarto di barretta di achiote in succo d'arancia o di limone e volendo chile guajillo tritato e cospargetela sulla carne stesa su una teglia da forno.
Terminata questa operazione conviene preparare gli altri ingredienti freschi, pulendo l'ananas, tritando cipolla e coriandolo e preparando la masa per fare tortillas di mais fresche.

Infilare la carne nel grill già caldo per il tempo necessario a farla dorare (15-20 minuti circa).
Nel frattempo approfittatene per cuocere le tortillas di mais, così saranno ben calde quando è pronta la carne.

Il taco al pastor si prepara posizionando sulla tortilla la carne, i pezzetti di ananas, la cipolla tritata, il coriandolo fresco, la salsa taquera e una spruzzatina di lime. La salsa taquera può essere una qualunque di proprio gradimento, nelle taquerias ne trovereste almeno quattro o cinque tipi diversi, variamente piccanti.
Qui in Italia ne trovate due o tre già pronte, quella verda a base di tomatillos che vedete sopra o quella detta rossa a base di pomodori, cipolla e chiles serranos.

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