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lunedì 16 giugno 2008

Ensaimada de Mallorca

Se non fosse per Sandrá, superlativa pasticcera transalpina (mercí Sandrá!), probabilmente non sarei mai venuto a conoscenza di questa squisitezza catalana: le ensaïmadas di Maiorca.

Sì perché credo di essere l'unico italiano a non essere mai andato alle Baleari, neppure a Ibiza quando imperversava Sandy Marton, a metà dei favolosi anni '80, con la sua canzone-tormentone. A dire la verità non ho neppure mai capito cosa avessero di favoloso gli anni '80, ma probabilmente basta aspettare quei 20-25 anni e anche questi diventeranno automaticamente i favolosi anni 2000...

Una cosa è certa però: se gli anni '80 non sono stati un granché, le ensaimadas sono invece, loro sì, da urlo.

L'acuto navigatore, il quale non si accontenta del mio parzialissimo punto di vista, noterà che nel sito ufficiale queste leccornie hanno la forma di una perfetta spirale di Archimede. Sebbene non abbia provato, credo che per ottenere quel tipo di risultato occorra scegliere l'alternativa "briochata", tra le due possibilità di cui parla nel suo blog Sandra.
Io invece mi sono incarognito sul secondo tipo, quello "briochato sfogliato" e ne sono talmente entusiasta che non mi sogno nemmeno di provare l'altra versione.

Il risultato è una brioche dal sapore e dal profumo burroso, soffice internamente, ma abbastanza croccante esternamente, grazie all'effetto quasi da "sfogliatella".

Ingredienti:
500g farina tipo 00
150g burro
100g zucchero
200ml latte (ma potrebbe diventare meno se le uova sono grandi)
15g lievito di birra fresco
2 uova
2 cucchiai di olio extravergine
un pizzicone di sale
zucchero a velo q.b.

Procedimento:
sciogliere il lievito con un cucchiaino di zucchero. Impastare farina, uova, zucchero, olio e il lievito. Aggiungere quindi il latte un po' alla volta, fino a quando l'impasto non diventa liscio ed elastico. Non è detto che dobbiate usare tutto il latte, la quantità è indicativa e dipende anche dall'umidità dell'impasto, dalla dimensione delle uova, per cui se ne avanza e l'impasto vi sembra già buono, non usatelo tutto. Mettete l'impasto a lievitare in luogo riparato e coperto. Quando sarà raddoppiato di volume, lavoratelo un po' e poi stendetelo fino a ottenere una sfoglia di mezzo centimetro circa. A questo punto prendete metà burro a temperatura ambiente e disponetelo su metà della sfoglia. Ripiegate in due e poi di nuovo in 2 dopo aver girato l'impasto di un quarto di giro. Stendete ancora la mattonella col mattarello e ripetete l'operazione con il burro rimasto e la piegatura. Se l'impasto ha la tendenza ad aprirsi, potete metterlo in frigo coperto, in modo che il burro si indurisca e vi consenta di stenderlo più facilmente.

Quando avrete steso la sfoglia per l'ultima volta, arrotolatela, in modo da ottenere l'effetto a spirale tagliando le fette. Tagliate il rotolo in 16 parti più o meno uguali e disponetele su una teglia, poi infilatela nel forno spento per la lievitazione finale (magari col solito pentolino di acqua calda per mantenere umido l'ambiente nel forno). Quando saranno ben lievitate, tiratele fuori, accendete il forno a 180 gradi circa e cuocetele per massimo 20 minuti o comunque fino a quando non saranno di un bel colore rossiccio. Spolveratele con zucchero a velo e degustatele tiepide.


Ma chissà che fine avrà fatto Sandy Marton...

sabato 7 giugno 2008

La torta di mele dei Gonzaga - Variazioni Tlazberg III

Eccoci giunti alla terza variazione sul tema della torta di mele.
Questa volta scomodiamo nientepopodimeno che la dinastia Gonzaga per provare una ricetta trovata su un bel libro intitolato La cucina mantovana di ieri e di oggi, di Franco Marenghi, dove convivono ricette risalenti al rinascimento e quelle classiche della tradizione contemporanea.


Ho dato un'occhiata in rete per vedere se c'era qualche riferimento a questa ricetta che sarebbe una rielaborazione di una antica ricetta risalente al 1500 circa, addirittura alla contessa Giulia Gonzaga, celebre intellettuale del rinascimento e simpatizzante della eresia Valdese, ma ripresa e riadattata dalla Contessa Nuvoletti in tempi moderni.
Nella posteriore rielaborazione degli ingredienti, lo zucchero deve aver preso forse il posto del miele, un dolcificante certamente più comune in quell'epoca, così come si può constatare leggendo le ricette rinascimentali.
Confesso di aver utilizzato delle mele granny smith assai poco filologiche, benché verdi e non troppo acquose così come indicato. Quale fosse il tipo di mela usato originariamente non sono ancora riuscito a scoprirlo però è una singolare coincidenza che Giulia Gonzaga fosse di Gazzuolo, provincia di Mantova, dove i Gonzaga avevano un meleto in una località che ora si chiama Pomara... Forse la Contessa si portò in dote la ricetta della torta quando andò in sposa a Vespasiano Colonna, in quel di Fondi?
Ma allora, che tipo di mele avrà usato in quell'epoca, laggiù, nell'agro pontino?


Ingredienti:
1,5kg di mele
250g di zucchero
250g di pasta brisée
100g di burro
il succo di un limone
1 cucchiaino di cannella
mezzo cucchiaino di chiodi di garofano macinati


Procedimento:
spremere il limone e mescolare al succo un cucchiaino raso di cannella e metà di chiodi di garofano macinati.
Pelare le mele e tagliarle a fette non troppo sottili (vedi foto sopra) e metterle nella zuppiera dove avrete versato il succo di limone con le spezie, mescolandole per bene, in modo che rimangano chiare e non si ossidino. Iniziare a preparare il caramello con metà dello zucchero totale (cioé 125g), un cucchiaio d'acqua e 20g di burro. Potete fare questa operazione direttamente nello stampo oppure in un pentolino, magari mentre lo stampo lo tenete al caldo nel forno, che nel frattempo avrete acceso a 180 gradi. Usato uno stampo di quelli a bordi quasi verticali, magari di pirex, non troppo alto, tenete presente che le mele tenderanno a ridursi in volume con la cottura.
Quando il caramello ha preso un bel colore marrone chiaro, versatelo nello stampo (se l'avete fatto a parte). Iniziare a mettere fettine di mela in modo fa formare un bello strato compatto, circa un terzo del totale, poi mettete qualche noce del burro rimasto e zucchero, quindi fate un altro strato di mele e ripetete l'operazione fino ad esaurimento di burro e zucchero. Mettere quindi le mele in forno nello stampo per mezzora. Mentre si cuociono, preparate la pasta brisée oppure usate un disco di pasta già pronto. Estraete quindi le mele e coprite lo stampo con il disco di pasta brisée. Se avete fatto i calcoli bene, non come me, il disco dovrebbe essere più largo dello stampo e consentirvi di ripiegarlo sui bordi e le mele dovrebbero rasentare il bordo. Rimettete in forno per altri 20 minuti. A fine cottura estrarre, lasciar raffreddare una ventina di minuti e sformare. Lasciar intiepidire ancora un po' e poi servirla spolverizzata di zucchero a velo.


Per il mio gusto risulta molto molto dolce, penso che la rifarò con un po' meno zucchero e in uno stampo meno largo affinché rimanga più alta. Oserei dire che s'accompagna bene con un po' di gelato alla crema o panna montata non troppo dolce al fianco, però la consistenza delle mele e il sapore mi sono piaciuti assai.

mercoledì 4 giugno 2008

Di krapfen, donas o bomboloni che dir si voglia

Paese che vai, bomboloni che trovi.
A parte che bisogna dare al Kaiser quel che è del Kaiser, i bomboloni, prima di essere tali, sono soprattutto Krapfen, viennesi, come la Sacher, austriaci, come il Kranz, seppure farciti di marmellata.
La storia dei krapfen è piuttosto lunga, pare che risalgano al XIII secolo ed erano soprattutto dolci dei giorni di festa. Sembra quindi che non siano frutto dell'inventiva della bella fornarina Cecilia Krapf, nell'anno Domini 1690, così come probabilmente è leggenda che le fornarine siano sempre belle...


Nel lungo viaggio dall'Austria al Messico (a proposito di strani scambi culturali, chissà se gli austriaci hanno poi restituito il favoloso pennacchio originale di Moctezuma ai messicani, quello conservato al Völkerkundemuseum di Vienna), hanno guadagnato il buco centrale e perso la marmellata, poi dopo aver risieduto per qualche tempo negli Stati Uniti, dove sono diventati doughnuts, hanno clandestinamente valicato la frontiera nel verso contrario al solito e sono diventati donas. Las donas di solito sono vuote all'interno e ricoperte da glassa di vari sapori e sono visibili al centro di questa favolosa canasta, già apparsa su questi schermi quando parlai della cucina messicana tradizionale.


Anche in Italia nella sua evoluzione da krapfen a bombolone, la marmellata è sparita per far posto alla crema pasticcera o ad altri ripieni sostanziosi. Sia come sia, il bombolone è ormai assurto a protagonista di sagre ed è uno dei più classici strapuntini notturni dei tiratardi.
Qualche bamboccione ha perfino tentato di utilizzarli qualche mese fa come armi improprie (le famigerate bombe intelligenti?) durante un Prodi-torio attacco al loft del Partito Democratico, un atto sacrilego che ha provocato un inutile spargimento di crema e un innalzamento della glicemia al Uolter.

Nella sua versione da bar, il bombolone è sicuramente il mio dolce preferito, ma evito di indulgere causa preoccupante allargamento del giropanza.

Ingredienti (per 8-10 krapfen):
150g farina tipo 0
30g di burro
30g di zucchero
1 uovo + 1 tuorlo (uova medie)
10g lievito fresco
3 cucchiai di latte
un pizzicone di sale
olio per friggere q.b.


Procedimento:
Preparare il lievitino sciogliendo il lievito di birra con un cucchiaino di zucchero, quindi aggiungere 40g di farina presi dal totale e tre cucchiai di latte tiepido. Impastare bene e mettere da parte finché non raddoppia di volume.
Una volta pronto, prendere la farina rimasta, lo zucchero, il burro morbido, l'uovo e il tuorlo extra e impastare assieme al lievitino, fino a ottenere un impasto che si stacca dal piano di lavoro. A quel punto mettere la pastella a lievitare in un posto riparato per il tempo necessario al raddoppio di volume.
A questo punto sgonfiare l'impasto e stenderlo fino a ottenere una sfoglia di circa 1 cm di altezza.
Ricavare dei dischi di circa 10 centimetri di diametro.
Friggerli in olio ben caldo, devono gonfiarsi e diventare quasi rotondi.
Appena diventano maneggiabili, tagliarli lateralmente e farcirli con crema pasticcera o quel che preferite. Alla fine spolverarli con zucchero a velo o zucchero semolato oppure immergeteli su un lato in una bella glassa.

Ma come si fa la crema pasticcera?
Quella che vedete nelle foto per me era favolosa, però de gustibus non disputandum est...

Ingredienti per la crema pasticcera:
3 tuorli
85g zucchero
30g di farina
250ml di latte
1 bustina di vaniglia
pizzico di sale
scorzetta di limone (facoltativa)

Procedimento:
Scaldare il latte e spegnere al primo inizio di bollore. Nel frattempo sbattere i tuorli con lo zucchero e la vaniglia fino a renderli spumosi poi aggiungere la farina setacciata. Unire il latte caldo un po' alla volta, mescolando continuamente e mettere il tutto sul fuoco basso, continuando a mescolare finché la crema non si sarà addensata. Spegnere e lasciare raffreddare. La crema deve rimanere morbida, non deve essere densa necessariamente come un budino.
A me piace più fredda che calda, quindi l'ho preparata mentre stava lievitando l'impasto dei bomboloni.
Se volete fare una crema alla cioccolata, potete prendere metà della preparazione dal fuoco e tenerla da parte, facendoci sciogliere dentro 40g di cioccolata fondente mentre finite di preparare la crema normale e poi finirete di addensare quella al cioccolato.

lunedì 2 giugno 2008

Il budino al cioccolato della nonna (o della prozia?)

In ogni famiglia che si rispetti esistono delle ricette tramandate dalle antenate fino ai giorni nostri. Su queste ricette, invariabilmente della nonna, si potrebbero scrivere interi manuali gastronomici e qualunque ricetta diventa automaticamente migliore se viene attribuita alla matriarca.
Quel che non ho mai capito è come facciano a vendere tante torte della stessa nonna in ristoranti diversi.


La ricetta di questo budino avrei potuto chiamarla "budino della mamma", ma sul suo brogliaccio delle ricette sta scritto "budino di casa mia", quindi ne deduco che intendesse attribuire la ricetta per lo meno a mia nonna. In realtà ho motivo di credere che le cose non stessero nemmeno così, perché mia nonna aveva una cugina, che in realtà mia madre chiamava zia (la mitica zia Vera), che per svariati lustri resse la Trattoria Romani in piazza delle Erbe a Mantova, le cui insegne, se non sono sparite di recente, esistono tuttora sotto al porticato, anche se la gestione già da decenni non ha più niente a che vedere con il mio parentado. Ricordo che molte ricette, come quella della trippa o della peverada (di cui parla l'amico Lorenzo Cairoli in un suo recente elzeviro sulla cucina veronese), ad esempio, provengono da quella prodigiosa più che prestigiosa cucina perché mia madre era solita ricordare alcuni aneddoti legati a questa o a quella ricetta o situazione, ma ormai diventa difficile districarsi tra quei racconti di tempi lontani.

Come potete constatare dalle foto, si tratta di un budino cremoso, non di quelli gelatinosi e artificiosi, adatto a quei pranzi o cene tra amici dove si bada più alla sostanza che alla presentazione da rivista. In realtà parte del problema è sempre dovuta allo stampo, che richiede una breve immersione in acqua calda per favorire la sformatura, ma se il vostro è più efficiente, magari salta fuori pure un budino bellissimo anche a vedersi.
In passato ho adottato la tecnica della caramellatura, che consiste nel rivestire lo stampo con zucchero inumidito facendolo caramellare a fuoco vivo e sembra funzionare abbastanza bene, ma questa volta non ero in vena e non l'ho usata.

In ogni caso potete sempre guarnirlo con ciuffi di panna montata (fresca per carità!) o riempire il buco di zabaione, nel caso vi venisse il dubbio che sia un dolce troppo leggero... :-D

Inoltre questo budino in particolare voleva proprio essere un "remake" dei tempi andati perché ho usato latte crudo di fattoria.
Magari non lo sapete, ma vicino a voi avete qualche efficientissimo contadino munito di macchina sparalatte che per 80 centesimi di euro o forse meno vi vende un litro di latte appena munto, da pastorizzare alla vecchia maniera, cioé facendolo bollire.
Questi contadini del XXI secolo sono piuttosto attrezzati, non hanno solo le mucche che fanno muuu, hanno pure il sito internet personale e le mappe di Google per farsi trovare!
Oltretutto è una bella occasione per far sentire un po' di profumi d'altri tempi a questi rampolli che non hanno mai visto una mucca o una gallina dal vivo.
Potete andare muniti di bottiglie vostre oppure farvele vendere dal contadino, l'importante è andare con della moneta sonante perché le macchinette sparalatte funzionano a monetine.

Inoltre e poi chiudo, con il latte crudo, si può ricavare riquisima nata, come chiamano in Messico la coagulazione della parte grassa del latte intero, una vera squisitezza da gustare al mattino su una fetta di pane tostato con sopra lo zucchero.

Chiusa la parentesi e la parentela (la parente avrebbe sintetizzato Totò...), si parta finalmente con la ricetta del budino al cioccolato.

Ingredienti:
1 litro di latte (meglio se crudo)
100g zucchero
100g farina tipo 0
4 tuorli d'uovo
50g cacao amaro
100g cioccolato fondente
100g burro (ma io ne metto la metà!)
1 bustina di vaniglia
1 pizzicone di sale
1 bicchierino di rhum (facoltativo)



Procedimento:
Sbattete i tuorli con lo zucchero e la vaniglia fino a renderli belli spumosi, quindi aggiungete la farina stemperando con un pochino di latte, giusto per tenere il tutto molto morbido. Aggiungete il pizzicone di sale e anche il cacao un po' alla volta, sempre aiutandovi con qualche goccio di latte se la crema tende a diventare troppo densa da mescolare, quando avete ottenuto una bella crema nera e liscia, senza grumi, iniziate ad aggiungere il resto del latte.
Mettete in una pentola dai bordi alti a fuoco moderato e mescolate in continuazione.
A questo punto aggiungete la tavoletta di cioccolato fondente extra (non badate a spese, meglio è il cioccolato, meglio viene il budino...) e continuate a menare finché non inizia a bollire. Aggiungete quindi il burro e anche il bicchierino di rhum se vi piace. Il budino, quando inizia a bollire, dovrebbe già avere raggiunto una discreta consistenza, per cui potete spegnere e versarlo nello stampo. Più aspettate, più verrà denso, ma senza esagerare.
Lasciatelo raffreddare un'oretta e poi mettetelo in frigo, dove dovrebbe sostare non meno di 4 ore.

E la pentola con i rimasugli verrà sicuramente contesa dai golosi di famiglia.

Amen.

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