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lunedì 31 marzo 2008

Gnocco ingrassato ovvere cosa fare se avanza impasto per crescentine

In genere tendo a non preparare dosi esagerate, detesto avere la casa che pullula di avanzi, però capita a volta di organizzare cene in cui il numero dei partecipanti varia fino al momento del grappino finale.
Ieri sera ad esempio ho preparato un po' di crescentine seguendo la ricetta numero 3 (ma con sola farina normale perché integrale non ne avevo). Ho fatto doppia dose perché dovevamo essere in 12, invece alla fine eravamo in 8 e ho deciso di non cuocere tutto l'impasto, ma lasciarne da parte circa un quarto per farci una specie di gnocco ingrassato. La ricetta canonica del gnocco ingrassato è sicuramente diversa, però qui si trattava di riciclare l'impasto e magari un po' di pesto per le crescentine.

Dopo averlo lasciato lievitare un paio d'ore extra, ben coperto perché non si seccasse, l'ho separato in due parti, sommariamente steso e messo a lieviatare ancora nelle teglie.
Al momento di infornare l'ho massaggiato con il pesto per le crescentine avanzato, cosparso di qualche grano di sale grosso e infornato a 200 gradi per neanche 20 minuti.

Il risultato, morbidissimo e saporito lo vedete nelle foto.
Ovviamente siete liberi di aggiungere fettine pancetta intere o tagliate a pezzetti, io ho preferito non esagerare, anche perché nulla vieta di farcirlo con salume fresco.
Da notare che su 2 chili di farina ho usato 20g di lievito fresco, il resto lo ha fatto una lievitazione iniziale di circa 3 ore e mezza più altre 3 una volta rimpastato.

sabato 29 marzo 2008

Il mitico zuppone alla "porcara"

A me questi due mancano proprio tanto.
Mi ricordo che, quando vidi i nuovi mostri per la prima volta, questa scena mi fece venire i lacrimoni per le risate e in fondo era forse la più esilarante in assoluto.



Nel trentennale del film, ho pensato ad un omaggio GASStronomico per ricordare i veri mostri sacri del nostro cinema, scomparsi ahimé troppo presto.

Propongo quindi di iniziare subito a mettere in pentola il necessario per il vero, unico, inimitabile, zuppone alla porcara.

Insomma, si accettano suggerimenti, ma mentre ci pensate, io intanto procedo...

Comincerei con un bel battuto di lardo o pancetta, un battuto energico in onore di Ugo Tognazzi pestatore di calli, con qualche foglia di salvia, di menta e di rosmarino.
Poi due spicchi d'aglio e una cipolletta, uno scalogno e un porro tritati fini, fini, fini. Li facciamo appassire e intanto tagliamo a rondelle due belle carote e un gambo di sedano. Aggiungiamo infine 4 pomodori freschi da sugo tagliati a pezzi e lasciamo cuocere a fuoco basso.
In un'altra pentolona mettiamo un bel po' di acqua salata e al bollore gettiamo un po' di legumi freschi, fagioli borlotti e fave magari. Gettiamo nella mischia anche i fagiolini, gli zucchini, le bietole, la zucca, la cicoria, gli spinaci, i piselli, qualche cavoletto di bruxelles, le patate (tutte le verdure tagliate a pezzettoni) e infine uniamo il soffritto che stava andando per i fatti suoi.
Per dare il tocco alla porcara, anziché la irreperibile scarpa deforme di Gassman, metterei dentro un bello zampetto di suino, che poi toglieremo alla fine.
Lasciamo il tutto a fuoco basso per almeno 3 ore (il tempo minimo per cuocere lo zampetto...).
Verso la fine della cottura, buttiamo anche le croste di parmigiano tagliate a pezzi, che dovranno ammorbidirsi per bene.
Da servire in scodella su crostoni di pane toscano, abbrustoliti, agliati e unti, con una spolverata di parmigiano extra.

martedì 25 marzo 2008

Torta di mele con cocco - Variazioni Tlazberg II

L'altro giorno stavo ascoltando le celebri variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach e mi è venuta un'idea, piuttosto delirante, ma non per questo meno infattibile: riciclare o inventare 30 variazioni sulla ricetta della torta di mele, partendo dalla ricetta canonica che, come ho già avuto di sostenere, ritengo essere quella della mia amica Milla (che trovate indicata nella pagina della prima variazione).


Per chi non avesse idea di cosa siano le variazioni Goldberg, può farsi un'idea ascoltando l'aria principale, ossia il tema musicale su cui il buon Giovanni Sebastiano ha imbastito le 30 variazioni, eseguita da Trevor Pinnock. Ravanando su YouTube, troverete un sacco di video con Glenn Gould che esegue le variazioni al pianoforte. L'idea alla base della variazione non è semplicemente quella di aggiungere o togliere o cambiare qualche nota, ma soprattutto quella di comporre musica secondo regole ben precise usando come base il tema principale.



Essendo la precedente ricetta già una variazione dell'originale, questa costituirà perciò la seconda variazione, che potrei definire una variazione alla messicana per la presenza del cocco e della cannella. Ho scelto le mele pink lady perché sono piuttosto compatte e non si sciolgono come accade con altri tipi di mele più farinose.

Ingredienti:
150g di zucchero
150g di farina tipo 0
150g di burro
50ml di latte intero
4 cucchiai di cocco grattugiato
2 uova
2 mele pink lady tagliate a spicchi
2 pizzichi di sale
mezza bustina di lievito vanigliato
cannella in polvere q.b.

Procedimento:
Montare i tuorli d'uovo con 100 g di zucchero. Aggiungere 100g di burro fuso, il pizzico di sale, il latte e la farina a pioggia. Quando il tutto è ben amalgamato aggiungere 3 bei cucchiai di cocco grattugiato e il lievito vanigliato.
Montare gli albumi a neve ferma con un pizzichino di sale e incorporarli al resto.
Versare l'impasto nella tortiera (con le torte di mele secondo me è obbligatorio quello a cerniera) e poi inserire le fettine di mele o disporle a raggiera, come preferite. Sciogliere il burro rimasto e versarlo sulle fettine di mele, infine spolverare con il cucchiaio di cocco grattugiato, lo zucchero rimasto e la cannella in polvere. Infornare a 160-170 gradi per circa 40 minuti, verificando con uno stecchino la cottura.


Piccola nota finale: il buon Giovanni Sebastiano ci ha messo 4 anni per comporre le variazioni Goldberg, si sa, tra l'altro trovò anche il tempo di fare 20 (dico venti) figli quindi non aspettatevi che sforni le variazioni Tlazberg in 2 giorni e tantomeno venti figli... :-D
E non avevano neanche inventato il viagra!

domenica 23 marzo 2008

Tortano light alla Tlaz

Passata la fiacca, si pose l'annosa questione del che fare (in cucina).
Era già da un po' che avevo intenzione di fare un'incursione nel regno delle varie pizze/torte al formaggio pasquali o meno e dovendo prendere una decisione rapida, ho scelto di andare sul partenopeo e dintorni.
Armato della ricetta di Francesca (che poi dev'essere gemella omonima della Frenci del Canary Wharf oppure hanno lo stesso moroso per fotografo...), ma deciso a reintegrare o sostituire alcuni degli ingredienti volontariamente omessi da lei, sono partito alla conquista del tortano.

Il tortano sarebbe il fratello povero del casatiello, se non ho capito male. Questa povertà si manifesta nell'assenza delle uova sul "coperchio", anche se ho visto immagini di ricette dove venivano reintegrate all'interno, un po' come certi ministri di governi del passato e purtroppo probabilmente anche del futuro prossimo.

Come avrete capito ormai, sono una vecchia lenza e difficilmente metto in opera ricette talis qualis, ho sempre bisogno di personalizzarle seppur minimamente ed in questo caso ho deciso di dare un tocco vagamente zapateriano alla ricetta, sostituendo il salame napoletano, che peraltro non avevo in dispensa, con del socialistissimo chorizo de Castilla. Ho anche leggermente ridotto l'abnorme quantitativo di strutto rispetto all'originale e di un quinto il lievito, tanto poi si compensa con una lievitazione più lunga e io non avevo particolare fretta. Di qui l'aggettivo light che campeggia nel titolo :-D

Ingredienti:
600g di farina tipo 0
350ml di acqua circa
160g di strutto
150g di provola piccante
100g di chorizo
20g lievito di birra fresco
10g sale
1 cucchiaino di zucchero
pepe q.b.

Procedimento:
E adesso vengono le cattive notizie. Questa ricetta è una di quelle dove tra i vari ingredienti è richiesta la pazienza. Niente trucchi, niente doppie dosi di lievito, niente farine magiche, solo il tempo necessario.
Forse cominciando alla mattina presto si può arrivare a concludere nel tardo pomeriggio, però io raramente inizio al mattino, di solito quando ci sono di mezzo lievitazioni lunghe parto al pomeriggio per lasciare lavorare i lieviti alla notte, mentre io me la dormo saporitamente...

Si comincia quindi con l'impastare la farina setacciata con 50g di strutto ammorbidito, il sale, l'acqua, una bella macinata di pepe (se volete) ed il lievito sciolto con un cucchiaino di zucchero. La quantità d'acqua è indicativa, aggiungendone un po' alla volta dovete ottenere un impasto non appiccicoso, elastico e morbido. Come dico spesso, se avete una impastatrice, usatela!

Mettere quindi a lievitare in un luogo riparato, tipicamente dentro al forno spento con la luce accesa, finché l'impasto non raddoppia. Potete fare la classica croce sul cucuzzolo per regolarvi meglio. Quando la lievitazione è soddisfacente, inizia il rito della spennellatura con lo strutto fuso.
Sciogliete lo strutto rimanente, basta un colpetto di microonde o qualche minuto a bagnomaria.
Stendete l'impasto sulla tavola fino ad ottenere un bel rettangolo alto circa mezzo dito. A quel punto spennellate la superficie con lo strutto. Piegate i due lembi opposti verso il centro e poi ripiegate un'altra volta a metà, fino ad ottenere una mattonella di 4 piani. Mettete in frigo per almeno mezz'ora. Questa operazione andrà ripetuta varie volte, fino ad esaurimento dello strutto.

Terminato l'ingrassamento, mentre la mattonella è a riposo nel frigo per l'ultima volta, prendete il chorizo e tagliatelo a dadini, quindi mettetelo in una padella e fatelo soffriggere nel suo grasso.
Il grasso che viene estratto dal chorizo lo eliminate e tenete da parte le greppole, per dirla alla mantovana.

Tagliate a dadini anche il provolone. Io ho usato della provola silana piuttosto saporita, ma direi si possa usare anche del provolone. Ho visto delle ricette dove usavano emmenthal apocrifo, per non dire elvetico. Ecco, non so, sarà che Napoli mi sembra abbia così poco in comune con la Svizzera, ma 'sto emmenthal io non ce lo vedo proprio dentro al tortano.

Magari qualche lingua lesta obietterà:
- e capirai e tu mi hai sostituito il salame col chorizo!
- Embé, che c'entra? Stai a vedere che in duecento e passa anni di dominazione 'sti spagnuoli non hanno mai assaggiato il salame napoletano o viceversa, ma mi facci il piacere, mi facci!

Stendete l'impasto per l'ultima volta, sempre a forma di rettangolo bislungo, tenendo sommariamente presente le dimensioni dello stampo che dovete riempire. Per questa dose sembra che il diametro ideale sia di circa 26cm. Se è più stretto, sarà consigliabile staccare l'eccesso e farci due micro tortani, come quelli nella foto sopra a destra. E qui torna quindi utile la geometria studiata a scuola, la quale ci dice che se il diametro dello stampo è 26cm, la lunghezza del nostro salame/tortano va moltiplicata per il magico pi greco, che per esigenze culinarie troncheremo alle prime due cifre cioé 3,14, ottenendo quindi 81 centimetri. Ovviamente non è necessario essere millimetrici, anzi, meglio stare corti ed eventualmente allungare successivamente.
Insomma, dopo aver steso la pasta per una lunghezza sufficiente, spargete il formaggio a dadini e il chorizo, arrotolando il tutto in modo da formare questo lungo salame che metterete nello stampo. Io, pensando di fare il fenomeno, speravo di riuscire ad ottenere due tortani, uno piccolo ed uno grande, perché avevo uno stampo da 22cm, ma alla fine m'è avanzato troppo poco impasto per lo stampo piccolo e ho dovuto ripiegare sulle due mezze porzioni già menzionate.
A questo punto io l'ho messo in frigo per tutta la notte, ben coperto e l'ho tirato fuori al mattino per lasciarlo lievitare tutta la mattina, circa 3 ore e mezza prima di accendere il forno. Quando la pasta ha superato l'altezza del bordo di un paio di dita o forse tre, l'ho spennellato con l'uovo e poi l'ho infornato a 200 gradi per 45 minuti. Il risultato, piuttosto entusiasmante, è ritratto qui sotto.


Insomma, questo tortano m'è piaciuto assaje, forse non sarà stato troppo filologico, però decisamente buono, con una bella crosta sfogliata e il gusto del chorizo molto apprezzato dall'erede, che continuava a piluccare le greppole cadute nel piatto.

Ah, segnalo il fantasmagorico trucco per togliere la puzza d'uovo all'uovo, provato con successo in esclusiva per voi.
Un'altra mirabolante tecnica svelata dalla sempre informatissima e infornatissima Sibbbì.

sabato 22 marzo 2008

E tutto finì a tarallucci e vino?

Non so se capiti anche a voi, ma a me ogni tanto viene quella che a Modena chiamano la fiaca e in Messico la flojera.
La fiacca sarebbe quello stato d'animo tale per cui anche cuocere un uovo sodo rappresenta uno sforzo degno di Sisifo, una difficoltà culinaria insormontabile, una impresa predestinata al fallimento.

Tipicamente la fiacca mi colpisce in due occasioni ben precise: Natale e Pasqua.
Mentre normalmente sarei ben disposto anche a cuocere per 7 ore filate una porchetta, cosa già fatta in varie occasioni, per le feste comandate vengo assalito da una insostenibile propensione a non fare niente, soprattutto in cucina. Ma in questa inevitabile abulia sono anche confortato dalla apparente mancanza di piatti tradizionali pasquali messicani, cosa che mi toglie già in partenza buona parte dello slancio gastronomico.

Eppure è interessante constatare come nella tradizione di vari paesi del mondo, cristiani e non, la festività religiosa porti con sé una cospicua dote di ricette esclusive, quelle che si fanno solo in quel determinato giorno o periodo e tra queste, a meno di smentite, ricadono i taralli nasprati pasquali pugliesi.

Ora, l'attento lettore si chiederà e se non se lo chiede, domando io per lui:
- ma che c'entra 'sto aspirante messicano con la Puglia?
C'entro per via della baby-sitter di mio figlio che è di Altamura e ci rimpinza di taralli dolci e salati, focacce e quant'altro ogni volta che torna dal felice borgo natio.

Questa volta l'inesauribile Fafa ha giustappunto portato (ma sarebbe meglio dire trasportato) 12 chili di taralli, di cui vedete alcuni campioni nelle foto d'accompagnamento.

Ne consegue che di fronte a questa cornucopia di tarallini al peperoncino, alla cipolla, al finocchio, bolliti e non bolliti, lisci e on-the-rocks, treccine con le mandorle zuccherate o salate, all'uovo e senza uovo, la mia fiacca viene totalmente giustificata e anzi trova la giusta apoteosi in una favolosa cena a base di pane di semola di Altamura, caciocavallo e olive piccanti.
Insomma, tarallo dopo tarallo, bicchiere di Primitivo di Manduria dopo bicchiere, capisco sempre di meno il vero significato della frase "finire a tarallucci e vino". E non è colpa dell'ultimo bicchiere, ve lo assicuro ;-)

Per esempio, prendiamo questa faccenda dell'Alitalia, in cui da 2 anni, anzi 3, si va avanti con 'sta farsa della "cordata di aziende italiane". Ecco, vorrei sapere, finirà a tarallucci e vino o ad ostriche e champagne?
E la nuova compagnia, si chiamerà Air France o Air Brianz? O magari Forzalitalia?

Insomma, se, gastronomicamente parlando, sono decisamente per i taralli, aeronauticamente preferirei le ostriche, perché viaggio spesso con Air France e mi sembra una compagnia seria. L'altra invece, quella autarchica, ancora tutta da scoprire e forse perfino inesistente, a costo di essere malpensanti, magari sarà pure una compagnia, ma assomiglia molto a quelle di merende.

Moh, speram ch'am pasa prest 'sta fiaca.

lunedì 17 marzo 2008

Focaccia al formaggio di Recco

Sulle prime non mi ero azzardato a mettere nel titolo la dicitura "di Recco", poi vista la messe di siti dove vengono spacciate focacce di Recco che non farebbero nemmeno a Ventimiglia, ho rotto gli indugi, sta a vedere che devo proprio essere io il più besugo, belín!
E se non è quella di Recco, vorrà dire che sarà di duecento metri più avanti.

E poi, IO, posso sempre invocare come attenuante generica dei cugini di secondo grado di mia madre a Genova, l'alluvione, le cavallette e il racket dell'olio extra vergine, a proposito, ieri l'olio extravergine Isnardi l'ho visto a 8,79 euro al litro (vedasi un altro mio vecchio sproloquio sul scivoloso tema), altro che crisi del petrolio.

La focaccia al formaggio l'ho mangiata in varie occasioni, tra le quali, l'ultima, su consiglio del mio ex-collega ed ex-vicino di scrivania Bruno, sampdoriano fino al midollo, che fu perfino speaker a Marassi, nel tempio della focaccia al formaggio, dalla Manuelina, a Recco, squisita e fragrante, su un sontuoso tagliere dove si potrebbe svolgere una parata militare con tanto di cannoni trainati dai cavalli. Non fu l'unica cosa a deliziarci, devo ammettere, anche le trofie al pesto erano memorabili.

Quella gita a Genova rimarrà negli annali, sbagliarono a farci i conti per ben due volte regalandoci una cena, pensate che fama immeritata hanno 'sti poveri genovesi.

Paradossalmente la prima volta in cui venni a conoscenza di questa ghiottoneria non fu in Italia, bensì a Londra, in quel di Sydney Street, in un posto che esiste tutt'ora e si chiama "Olio e Farina", perché per me la vera focaccia fino ad allora era solo quella genovese classica. E poi dicono che in Inghilterra si mangia male...

La ricetta che uso io la presi tempo fa da gennarino, ma per qualche strano motivo non riesco più a trovarla, colpa di Gennarino e del casino che c'è sul suo sito (scusa Gennà, ma quanno ce vò, ce vò!) tanto che nemmeno Goooogle è riuscito a ritrovarla, quella che mi tira fuori adesso ha ingredienti in quantità diverse. O magari sono io che mi sono rincoglionito, esiste anche questa possibilità :-D

Ingredienti:
360g farina tipo 0
175ml acqua (circa, da regolarsi in base al tipo di farina)40g olio extravergine ligure!!!
350g di crescenza freschissima, ma c'è chi ne mette anche 500g alla faccia dei trigliceridi...
sale q.b.

Procedimento:
Setacciare la farina, aggiungere una presa di sale e impastare versando l'acqua a poco a poco e l'olio.
Lavorate bene, l'impasto deve risultare elastico e liscio, assolutamente non appiccicoso.
Lasciare riposare coperto per almeno mezz'ora.
Dividere l'impasto in 2 parti uguali e cominciare a stendere il primo sulla spianatoia.
Se siete stati bravi nella fase precedente, non dovreste fare particolare fatica a tirare lo sfoglio molto sottile. Dategli la forma della teglia, che dovrà essere larga, io ne uso una rettangolare in alluminio che entra al millimetro nel forno. La sfoglia deve rimanere abbondante, perché dopo la rifilerete in modo che la focaccia prenda tutto lo spazio disponibile, vedi prima foto in alto.
Dopo aver steso la prima sfoglia, adagiatela sulla teglia, lasciatela debordare. Se la vostra teglia è piccola, è meglio fare due infornate, la pasta dev'essere sottilissima, non cicciotta!
Copritela con un panno mentre stendete la seconda sfoglia.
Intanto accendete il forno al 230 gradi o più.


Una volta pronta anche la seconda sfoglia, prendete la crescenza e spargetela a tocchetti sulla prima. Con la seconda sfoglia coprite tutta l'area e anche oltre. A questo punto per rifilare la pasta in eccesso, usate il mattarello passandolo sul bordo.
Non dimenticate di praticare dei tagli sulla parte superiore, se no la focaccia tenderà a gonfiarsi, mentre invece deve rimanere bassa.
Infornate senza indugi per circa 20 minuti o comunque finché non prende un bel colore dorato con punte marroncine.

Con l'avanzo di pasta potete fare una bella schiaccia fina-fina-fina, insaporita con erbe aromatiche (maggiorana, origano, timo, rosmarino, salvia, a scelta) oppure pomodori secchi e peperoncino, rigorosamente messicano, sale ed olio.

Ecco, io avrei finito.

sabato 15 marzo 2008

Chilorio de pavo

Una delle leggende metropolitane riguardanti la cucina messicana, forse seconda solo all'insuperabile best-seller "la cucina messicana è molto piccante", consiste nella presunta semplicità delle ricette (soprattutto quando la si deve paragonare alla cucina nostrana che per definizione deve sempre essere superiore...).
Cosa facciamo per cena stasera? Qualcosa di veloce e piccante, qualcosa di messicano!

La cosa buffa è che nessuno di questi luoghi comuni è vero.

Esistono una marea di ricette dove il piccante si può aggiungere ad libitum, a discrezione del commensale, vedasi la varietà quasi infinita di salsine piccantine, piccanti, piccantissime o piccanterrime, queste ultime quasi tutte a base di chile habanero.

Non solo, le ricette dei piatti più prelibati spesso richiedono giorni di preparativi.
Io ho portato questo delirio gastronomico alle estreme conseguenze dato che, per mancanza di materia prima, son costretto a coltivare erbe, peperoncini e pomodori in proprio oppure devo aspettare che qualche commosso viaggiatore mi porti in dono qualcosa dalla Madre Tierra, per cui, per fare certi piatti, devo aspettare mesi.

Persino i famosi tacos al pastór, la comida callejera per eccellenza (sicuramente di eccellenza per i miei gusti piuttosto ruspanti...), non sarebbe tanto deliziosa se la carne non venisse messa a marinare per qualche ora nella miscela di achiote e altre spezie, prima di finire sullo spiedo rotante.

Il chilorio de pavo è uno di quei piatti che richiede appunto sufficiente tempo per lasciare marinare la carne, ma almeno, dopo questa fase, non presenta difficoltà particolari.

L'origine di questo piatto è del nord del Messico, Estado de Sinaloa per la precisione. La ricetta che do io è sicuramente fusion, dato che prevede perfino l'uso della famigerata Coca-Cola, vanto di Gringolandia. Non si tratta di una mia invenzione, dato che il suggerimento viene da una messicana, ma, checché ne pensiate, la Coca Cola è sicuramente la bevanda nazionale messicana da svariate generazioni e quindi diventa legittimo considerarla un possibile ingrediente.

E così, come un Taurasi 2004 dei Feudi di San Gregorio non ha esattamente lo stesso profumo di un Mastroberardino del 2005, vi posso assicurare che la Coca Cola messicana ha un sapore diverso da quella nostrana, non so se a causa del differente vitigno o se per il fatto che in Messico sia ancora in auge la restituzione dei vuoti di vetro e il trasporto su quei bei camion rossi con le casse di bottiglie disposte come ziggurat mesopotamici...

L'altro aspetto curioso sono le misure di lattine e bottiglie. Mentre in Europa è standard la misura di 330ml, in Messico le lattine sono da 355ml e le bottiglie sono da 60cl anziché da 50cl. Quando a mio cognato una macchinetta automatica rifilò una mini-lattina da 25cl, quasi la prendeva a calci.
Evidentemente il messicano medio ha più sete dell'europeo medio.

Dopo questa necessaria parentesi, torniamo al nostro pavo, che poi sarebbe il comune tacchino.

Come al solito, devo proprio ricordarvi che anche il tacchino è messicano?
Ebbene sì, il temperamentale guajolote, dal nahuátl huehxolotl, fu importato in europa dagli spagnoli, tanto per cambiare.

Ingredienti:
1 petto intero di tacchino oppure tacchino in parti, senza pelle (circa 1,5 Kg totali)
mezza bottiglia di cognac oppure brandy
1 lattina di coca cola (sì, avete letto bene)
1 chile guajillo
1 chile ancho
1 chile pasilla
1 scatola di pelati (o 4 pomodori da sugo freschi)
50g pancetta affumicata o bacon
40g di achiote
mezza cipolla
2 chiodi di garofano
2 spicchi d'aglio
cannella in polvere
pepe q.b.
noce moscata q.b.

Procedimento:
Primero lo primero, come dicono i messicani: due sere prima (o un giorno e mezzo prima se volete ridurre i tempi...) mettete a bagno nel brandy i pezzi di tacchino (o le fettine di fesa) e riponetelo al fresco.
Il giorno dopo, aprite i peperoncini e togliete i semi e le venature. Questo trattamento ridurrà notevolmente il grado di piccantezza del piatto, che potete sempre ripristinare all'ultimo momento con una adeguata salsa. Altrimenti se siete temerari, lasciatene una parte.
Mettete i peperoncini in una padella di circa 20cm di diametro che poi userete anche per il resto, ungendola con un filo d'olio di mais, se volete essere un minimo filologici. Fateli tostare a fuoco moderato, non devono bruciare ma solo diventare croccanti, dovrebbero bastare 6-7 minuti, girandoli spesso. Nel frattempo tagliate una mezza cipolla e circa 50g di pancetta affumicata tagliata a pezzetti sottili. Quando avete finito con la tostatura dei peperoncini, riutilizzate la stessa padella per soffriggere la pancetta con la cipolla e i due spicchi d'aglio. Quando la cipolla è appassita per bene, versate la scatola di pelati, aggiungete due chiodi di garofano macinati, una macinata di pepe, un cucchiaino di cannella, una grattata di noce moscata e sbriciolate la mezza barretta di achiote. Aggiungete del brodo o altrimenti un po' d'acqua e sale e cuocete per 10 minuti da quando comincia a bollire.

Macinate grossolanamente i peperoncini tostati e aggiungeteli alla salsa. Lasciate raffreddare, questa salsa serve per marinare la carne. Nel frattempo scolate la carne dal brandy. Quando la salsa sarà a temperatura ambiente, frullatela e disponete la carne nella teglia dopo averla ben ricoperta di salsa e rimettete il tutto a marinare un altro giorno al fresco (vedi prima foto in alto).

Il giorno successivo, tenendo presente che ci vorranno almeno 2 ore abbondanti, se non 3, mettete la teglia in forno a 180 gradi, aggiungendo la coca-cola e coprendo con una foglio di stagnola. Dopo un paio d'ore assaggiate e aggiustate di sale se necessario. Se per qualche motivo dovesse essersi asciugato il liquido, aggiungete ancora un po' di coca cola o un po' di acqua. Nella foto piccola qui vicino, vedete che dopo quasi 3 ore il chilorio non all'asciutto ma in una salsa piuttosto densa.


La carne dovrebbe rompersi con facilità, anzi a me piace proprio tirarla fuori dal forno e smembrarla con la forchetta, quando riuscite a fare questa operazione senza ausilio di trapani e seghe a motore, significa che la cottura è a puntino.
Essendo un piatto norteño, l'accompagnamento tipico è con tortilla de harina. In realtà a me piace molto con la tortilla di mais, ma sicuramente è più facile trovare qui piadine romagnole sottili (non quelle cicciotte!) che assomigliano molto alle messicane.
Altrimenti, in questo caso e solo per oggi, potrei perfino consigliarvi le famigerate tortillas di Casa Fiesta o Uncle Ben's, ma che non si sappia in giro.

Ah, per favore, non sognatevi di usare Coca Light, d'accordo?



Insomma, a conti fatti, se fossi nato tacchino, non mi dispiacerebbe finire in un bel chilorio, sarebbe una morte più che onorevole!

domenica 9 marzo 2008

Ciambella "Ikea"

Ieri sera avevo 4 chiare d'uovo da riciclare e voglia di sfornare qualcosa di buono, di rapido e di cioccolatoso.

Mi ricordavo di avere da qualche parte una ricetta di una torta al cioccolato dove si usavano solo albumi e così, dopo aver scartabellato il libro mastro, mi sono messo all'opera.
Avendo però la metà della quantità richiesta di albumi, ho deciso di fare solo mezza dose, visto che tra l'altro mia moglie asserisce di essere a dieta, così i suoi sensi di colpa dovrebbero venire ridotti del 50%.

Terminata la preparazione dell'impasto, si è presentato il problema di trovare uno stampo di dimensioni adeguate alla mezza dose e, chissà perché, ho deciso di utilizzare quello che già in altre occasioni mi aveva dato grandi dispiaceri, fabbricato da una nota multinazionale svedese.

Non che non avessi preso delle precauzioni, avendolo imburrato e infarinato in lungo e in largo, ma evidentemente fare i mobili è un conto e fare stampi per dolci un altro. E per fortuna che lo chiamano pure stampo antiaderente!

Alla luce di questa deprimente esperienza mi chiedevo quindi se l'ufficio marketing dell'Ikea non facesse bene a cambiare il nome dell'oggetto.
Come sapete all'Ikea hanno l'usanza di usare i nomi svedesi, norvegesi e danesi per i vari oggetti, anzi, è fresca la notizia che ricercatori danesi (!) si sono adirati quando hanno scoperto che quei mattacchioni dell'Ikea mettevano nomi danesi agli oggetti di più scarso valore...
Insomma, mi volevo permettere di suggerire un nuovo nome per questa autentica ciofeca di stampo antiaderente per dolci: che ne dite di klibbig oppure, se vogliamo continuare a far felici i ricercatori danesi, klæbrig ?

:-D

Ingredienti:
4 albumi
50g farina tipo 00
50g fecola di patate
75g cioccolato fondente
75g burro
mezza bustina di lievito vanigliato
1 bustina vaniglia
pizzico di sale

Procedimento:
Sciogliere a bagnomaria il burro e il cioccolato, una volta fusi, mettere a raffreddare.
Montare le chiare con un pizzico di sale a neve fermissima. Aggiungere gradualmente gli altri ingredienti, mescolando delicatamente con movimenti dal basso all'alto, per evitare di smontare gli albumi. Unire infine il cioccolato fuso col burro e continuare a mescolare delicatamente.
A questo punto a voi la scelta, potete prendere un magnifico stampo klibbig oppure uno di quelli autarchici di alluminio di una volta, imburrato e infarinato.
Infornare per 30 minuti a 160-170 gradi.
Mettere a raffreddare la torta (o ciò che ne resta dopo averla estratta dallo stampo) su una griglia.

Per la cronaca, la parte mancante di torta che era rimasta appiccicata allo stampo è stata giustiziata da mia moglie e mio figlio, segno che tutto sommato, la torta non faceva poi schifo e la parola dieta va sempre interpretata, così come l'Antico Testamento...

martedì 4 marzo 2008

Risotto alla birra scura Ceres Stout

Come l'attento lettore/lettrice avrà notato, a me piace molto cucinare con la birra.
Questo bel risottino alla birra scura è in realtà una vecchia scoperta, lo faceva ogni tanto la mi' mamma, home dihono i toshani, quindi non ne rivendico la paternità, ma solo la discendenza.

Ora, per movimentare un po' la situazione, posso lanciare la sfida di trovare una birra scura che si sposi meglio della qui presente Ceres Stout, la lussureggiante danese che, secondo il mio immodesto parere, è proprio la morte sua. Infatti le altre birre scure provate nel corso dei secoli mi hanno sempre lasciato perplesso. O sapevano troppo di liquirizia (vedi Guinness) oppure erano troppo insipide. Ottime birre da bere sicuramente, ma non all'altezza della situazione culinaria.
La Ceres Stout invece è una birra dal gusto piuttosto amaro (che verrà appunto mitigato dal dolcino della panna liquida fresca), è corposa senza essere extraforte, ha un aroma decisamente unico ma non bizzarro come certe birre aromatizzate.
Forse si potrebbe trovare una valida alternativa in qualche pregiata birra belga o ceca, ma lascio volentieri questo compito come esercizio allo studente, come diceva l'astuto prof. di fisica quando non era in vena di spiegazioni.

A proposito di esercitazione ed assaggi, cadeva giustappunto qualche mese fa il ventennale della visita guidata allo stabilimento della birra Carlsberg a Copenhagen, dove, al termine del giro turistico, venimmo esortati ad assaggiare i vari tipi di øl, come dicono i danesi. Mentre ricordo molto bene l'entrata nello stabilimento, non ricordo praticamente nulla dell'uscita, colpa forse della sesta o settima bottiglietta gentilmente offerta dalla guida con dei simpatici baffoni alla "Cecco-Beppe".

Bei tempi.

Ingredienti:
360g di riso (vialone nano, carnaroli)
1 bottiglia di birra scura (Ceres Stout consigliatissima)
mezza cipolla o ancora meglio uno scalogno
125ml di panna liquida fresca
sale q.b.
mezzo dado o un po' di brodo buono (300-400ml)
burro q.b.
olio extra q.b.
un pugnetto di prezzemolo tritato
parmigiano reggiano grattugiato ad libitum

Procedimento:
Se avete del brodo buono scaldarne circa 3 mestoli, altrimenti scaldare acqua con un mezzo dado. Soffriggere la cipolla con un cucchiaio d'olio e una noce di burro, senza farla diventare scura, deve appassire senza bruciarsi. Aggiungere il riso e mescolare bene, facendo tostare i chicchi. Mescolare spesso e dopo circa 5 minuti di tostatura, versare la bottiglietta di birra.
Aggiungere gradualmente il brodo, man mano che prosegue la cottura, il riso deve essere appena coperto dal liquido. Aggiustare di sale, senza esagerare, alla fine aggiungerete il parmigiano che sarà anch'esso salato. Verso la fine della cottura circa 15 minuti dopo l'inizio della bollitura, aggiungere la panna liquida (non quella cosiddetta da cucina!). Mantecate per bene e controllate di sale. A cottura pressoché ultimata, spegnete e aggiungete il prezzemolo e il parmigiano grattugiato, mescolate e coprite per un paio di minuti primi di servire.
Mi rendo conto che per chi non ha mai fatto un risotto le indicazioni possano sembrare un po' vaghe, però io non ho mai preparato un risotto con il cronometro, mi limito ad assaggiare e, quando mi sembra cotto, servo.

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