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venerdì 30 maggio 2008

Non tutti i kranz riescono con la treccia

Ho finalmente coronato (parola scelta non a caso) uno dei sogni della mia seconda vita da pasticcere pasticcione. Fare il kranz, che in tedesco significa appunto corona di fiori.
Prima che qualche esteta me lo faccia notare, lo ammetto io primo, come treccia è venuta uno schifo, però come sapore, consistenza e soddisfazione mi assegno 10 e lode e scusate la modestia.
Anche se dalle foto non sembra, in realtà io avevo eseguito la torsione, però poi ho lasciato il dolce a lievitare per un bel po' di ore e alla fine, a furia di lievitare, la treccia degna di Rapunzel è praticamente scomparsa, ingoiata dal blob.

Ma perché questa passione proprio per il kranz?
Questo dolce mi ha sempre ispirato moltissimo e di solito (di solito si fa per dire, quando va grassa sono due volte l'anno...) lo compro alla Pasticceria San Biagio in via Emilia a Modena.
Il pasticcere, dall'accento assai modenese in verità, ha però un debole per i dolci mantovani e austriaci. Infatti in vetrina di sabato, espone kranz, torta linzer (da fare assolutamente una volta o l'altra!), la mantovanissima torta delle rose oltre alla superclassica sbrisolona.
Unica concessione alla pasticceria modenese sembrano essere le fritelle col savór, in cui un giorno o l'altro dovrò pure cimentarmi.
Detto ciò, le cronache riportano che nell'ormai lontano 1985, superato l'esame di analisi matematica II, per scommessa, il sottoscritto andò proprio alla pasticceria in questione, dove comprò un kranz di almeno 7 etti e se lo mangiò a mani nude, seduto su un fittone di Gucciniana memoria, con vista sul prospiciente palazzo Ducale.

La ricetta è quella riportata da Manuela dal sito coquinaria e mi ha ispirato molta fiducia avendo visto le foto della magnifica esecuzione di Tere (Teresa o Terenzia?) che saluto e ringrazio virtualmente.


Ingredienti:
350g di pasta sfoglia pronta (ma volendo pure un po' meno)
300g farina tipo 0
250g uvetta
150g canditi d'arancia
100g burro
2 uova
1 tuorlo (per decorare)
50g zucchero semolato
50g zucchero in granella
15g lievito di birra
3 cucchiai di latte
1 bicchierino di rhum
pizzico di sale


Procedimento:
preparare il lievitino al solito modo, facendo sciogliere il lievito di birra con un cucchiaino di zucchero e mescolando finché non si liquefa. A questo punto si prendono due cucchiai dalla farina pesata e si uniscono al lievito allungando con due o tre cucchiai di latte appena tiepido, fino a ottenere una pastella molto morbida. Si mette a lievitare finché raddoppia. Finita la prima fase, si mescola il lievitino assieme alla farina, le uova, lo zucchero e il burro a temperatura ambiente, fino a ottenere un impasto che pur rimanendo assai morbido, si stacchi agevolmente dal piano di lavoro. Io confesso di aver dovuto aggiungere un po' di farina extra se no, a quest'ora, ancora stavo impastando. Giunti a questo punto, io ho rimesso il tutto a lievitare, senza fretta.
Mentre lievita, prendete uvetta e canditi e metteteli a bagno con un bicchierino di rhum allungato con sufficiente acqua.
Una volta completata anche questa lievitazione, tirate fuori la pasta sfoglia e ricavate tre rettangoli di circa 24x10 centimetri. Prendete quindi l'impasto e dividetelo in 3 parti uguali.
Stendeteli a forma di rettangolo di dimensioni analoghe ai rettangoli di pasta sfoglia.
Partite con un piano di pasta brioche e cospargete con canditi e uvetta, poi coprite con un piano di sfoglia e continuate così fino all'ultimo. Cospargete con canditi, uvetta e granella di zucchero (che io non avevo ed ho sostituito con banale zucchero semolato...).
Infine, prendete la mattonella per un lato e rapidamente torcetela di 180 gradi.
Ora, adesso che ci penso, di strati di pasta sfoglia ne devo aver messi solo due perché se no non si spiega come mai la parte sotto è uguale a quella di sopra.
Insomma, sono pasticcione mica per niente...


Prima di infornare a 180 gradi per circa 40 minuti, non dimenticatevi di spennellarlo con il tuorlo (ricordatevi del trucco di Sibbbì, per eliminare la pellicina del tuorlo...).
Una volta uscita dal forno si può anche spennellare di marmellata di albicocche oppure ricoprire con glassa.
Comunque sia, sarà libidinosissimo.

martedì 27 maggio 2008

Bavarese al pistacchio di Bronte

Erano anni che covavo la voglia di una bavarese e finalmente l'altro giorno è giunta l'ora delle decisioni irrevocabili.
Per bavarese intendo quel delizioso dolce al cucchiaio di vari sapori, non una di quelle robuste ragazzone invariabilmente bionde che portano dieci caraffe di birra per volta all'Oktoberfest!
:-D

Munito di una bustina di pistacchi di Bronte, la cui valutazione a Wall Street ha superato quella del greggio, ho messo in cantiere la famigerata bavarese al pistacchio, mettendo al bando qualunque surrogato o sapore artificiale.

Dovete sapere che il pistacchio è il frutto di un albero piuttosto singolare. Prima di tutto fruttifica solo gli anni dispari e non c'è verso di convincerlo a cambiare ritmo. Poi gli piacciono i terreni rocciosi, lavici, il che rende la raccolta assai avventurosa.

Ingredienti:
3 tuorli d'uovo
200ml latte
250ml panna fresca
150g zucchero
70g di pistacchi di Bronte
4 fogli di colla di pesce
1 bustina di vaniglia
pizzico di sale

Procedimento:
Mettere a mollo i fogli di colla di pesce in acqua fredda. Macinare i pistacchi in polvere finissima, aiutandosi magari con un po' di zucchero semolato per evitare che si formi una pasta troppo appiccicosa. Sbattere i tuorli con 100g di zucchero fino a renderli spumosi, quindi unire il latte, il pizzico di sale, la vaniglia e la pasta di pistacchi e mettere sul fuoco basso senza far bollire. Quando si comincerà a veder salire il vapore, incorporate la colla di pesce strizzata. Mescolare bene e poi spegnere. Mentre il composto intiepidisce, montare la panna con i 50 g di zucchero rimanenti (a velo). Quando il composto è tiepido, unire la panna amalgamandola lentamente. Versare in uno stampo e mettere in frigo per qualche ora.


Per sformare il dolce è consigliabile metterlo in acqua calda per qualche minuto.
Nella foto sopra vedete che la mia bavarese, seppur ottima di sapore, si è sedimentata su due livelli, credo perché ho unito la panna quando il composto era troppo caldo. Probabilmente dovevo aspettare di più.

Sarà una scusa per rifarla...

domenica 25 maggio 2008

Kebab di carne trita

Questa ricetta è una delle mie preferite quando c'è da utilizzare della carne macinata di vitello o di manzo. Sicuramente si può fare anche con carne trita di agnello, ma io faccio fatica a trovarla, a meno di andare espressamente in una macelleria araba.

La ricetta proviene dal libro già citato, seppure con l'aggiunta di un uovo per tenere meglio insieme il tutto, ed è ormai assai collaudata.
Questo genere di kebab (che poi sarebbe una parola generica che sta ad indicare lo spiedo più che quello che ci s'infilza...) si può trovare in innumerevoli varianti in buona parte delle cucine affacciate sul mediterraneo, in Turchia, se non sbaglio, sono chiamati köfte, benché questi ultimi tendano ad avere la forma più simile ad un hamburger che ad uno spiedino. Comunque sia, in qualunque variante locale, li trovo sempre appetitosi e assai meno tristi della classica "svizzera".
Non vado oltre con i complimenti perché, da quel che vedo, ho pochi ma affezionati lettori svizzeri e non vorrei perderli... :-D


Ingredienti:
500g carne macinata di vitello o manzo o agnello
2 manciate di prezzemolo tritato
1 cucchiaio di coriandolo fresco tritato
1 cipolla piccola tritata
1 cucchiaino di cumino macinato
1 cucchiaino di paprika forte
mezzo cucchiaino di pepe nero macinato
mezzo cucchiaino di peperoncino di cayenna (facoltativo)
1 uovo (aggiunto da me)
un po' di pangrattato se dovesse fare fatica a stare insieme



Procedimento:
tritare finemente una cipolla piccola e due manciate di prezzemolo. Unite alla carne macinata assieme alle spezie e all'uovo, mescolando bene. Se l'impasto dovesse risultare troppo soffice, aggiungere una manciata o due di pangrattato. Dividere in 6/8 porzioni ricavando dei salsicciotti più lunghi che larghi, che poi infilzerete sugli spiedi. Mettere nel frigo un'oretta prima di cuocerli.
Occhio che la cipolla tritata vi appesterà il frigo se non li coprite a modo!
Cuocere sulla griglia o sulla piastra ben calda, girandoli spesso, evitando quindi di farli annerire, come invece sembra sia riuscito a fare io, che purtroppo ero distratto da altre faccende...


Nella foto qui sopra vedete lo spiedino accompagnato da pane arabo e da un non filologico, ma ben indovinato arroz a la mexicana, di cui magari parleremo più in là.

martedì 20 maggio 2008

Scorze di melanzana alla Salma Hayek

Dopo aver svuotato le due melanzane per farci il baba ghannouj o ganoush che dir si voglia, mi piangeva il cuore l'idea di gettarne la buccia, ci dev'essere pure un modo di riciclare la scorza della melanzana.

Che fare?
E non si tratta di una citazione di Lenin.

Tagliatele a striscie assieme ad un bel chile pasilla despepitado y desvenado (tolti semi e nervature), scaldate una padellina con un cucchiaio scarso d'olio, uno spicchio d'aglio schiacciato e fate saltare allegramente le bucce di melanzana con il peperoncino per qualche minuto, senza farle bruciare insomma.

Salate e spolverate con prezzemolo tritato se volete.

Belle croccantine, piccanti senza esagerare, le ho trovate una piccola libidine e qualcosa mi dice che piacerebbero perfino a Salmita...

sabato 17 maggio 2008

Quaranta modi di dire baba ghannouj

Tra le mie cucine preferite c'è senz'ombra di dubbio quella libanese.
Il che significa soffrire di nostalgia, perché, che io sappia, in Italia ci sono pochissimi ristoranti libanesi e quei pochi non stanno nel raggio di 50 chilometri.
Sono ormai lontani i tempi di Londra e dei tanti ristoranti libanesi sparsi nei dintorni di Egware road, del sontuoso Al Fawar in Baker street (di cui addirittura mi giungono voci abbia chiuso i battenti recentemente), dei pantagruelici mezzè, della tavola imbandita con decine di piattini per assaggiare di tutto un po'.
Come dimenticare la faccia che fece il grande capo quando gli spiegarono gli ingredienti della tartare di testicoli di agnello, servita come specialità del giorno a sorpresa...

Bei tempi, si andava a far baldoria con gli amici in esilio dorato nella città con il maggior assortimento di ristoranti al mondo, per tutti i gusti, anche se non per tutte le tasche. Eppure persino a Londra era impossibile trovare un vero ristorante messicano, ma questa è un'altra storia...

In compenso a Città del Messico ci sono diversi ristoranti libanesi di buon livello.
Ora, qualche malpensante sussurrerà, stai a vedere che adesso tira fuori la solita fola sugli insospettati legami tra Messico e Libano...
Beh, ma mi invitate a nozze, vi basti sapere che l'attrice messicana più in voga negli ultimi anni, Salma Hayek, è, guarda tu che coincidenza, di padre libanese e madre veracruzana.
Insomma, se riuscite a portare fuori a cena la bella Salmita, occhio alla scelta del ristorante (e al fidanzato!).
Chiusa la solita fuorviante parentesi, torniano al punto, anzi, al cibo.

Insomma, tra i tanti piatti sfiziosi di cene indimenticate, gli immancabili erano il tabouleh (insalata rinfrescante a base di prezzemolo, menta, burghul, pomodoro, ecc.), l'hummous (la crema di ceci) e il baba ghannouj, del quale fornisco testè la facilissima ricetta.

Ora, se non ve ne siete già accorti da soli, ve lo dico io: cercare le ricette di cucina libanese o araba in generale è un vero esercizio di fantasia dato che il baba ghannouj, lo potrete trovare come baba ganouj, ganouche, ganoosh, ganoush, ganush, ganusch, eccetera, il che comporta una disamina di dozzine di ricette in vari idiomi. Per fortuna la ricetta del baba ghannouj è talmente semplice che le uniche varianti ammesse sono appunto nell'ortografia...


Ingredienti:
melanzane (500-600g circa)
2 cucchiai di tahina (salsa di sesamo)
1 limone
1 spicchio d'aglio
sale q.b.
olio extravergine q.b.
prezzemolo tritato fresco q.b.


Procedimento:

Pungere in alcuni punti la o le melanzane e metterle in forno a 180 gradi per il tempo necessario a far raggrinzire la buccia. Se appoggiate le melanzane su un foglio di carta stagnola, eviterete di provocare i famosi tacconi sul fondo del forno, come si dice dalle mie parti bassopadane.

Quando la melanzana assumerà l'aspetto floscio e raggrinzito sarà ora di toglierla, lasciandola raffreddare un po', per poi estrarre la polpa che va tritata assieme ad uno spicchio d'aglio. Aggiungere anche i due cucchiai di tahina, il succo del limone spremuto e aggiustare di sale.
Alcune ricette dicono di aggiungere anche olio agli altri ingredienti, altre invece lo menzionano solo come ritocco finale ed io ho scelto quest'ultima ipotesi, perché il tahina (o la tahina? mah!) mi sembra già più che sufficiente.
Consiglio vivamente di fare il tutto in un bel frullatore, è inutile tenerlo lì come soprammobile ;-)

Servire in una ciotola, con un filo d'olio e un po' di prezzemolo.

La morte sua è senz'altro con pane arabo tipo pita morbida.

E la ricetta della pita?
Magari un'altra volta.

giovedì 15 maggio 2008

Non si vive di sola tortilla!

Avrei delle ricettine di cui parlare, ma per una mancano le foto, per l'altra la voglia e allora sapete che vi dico?
Stasera cambiamo menù, parliamo di musica messicana, colta e meno colta, così mentre vengono pronte le ricette, vi guardate qualche simpatico video.
Cominciamo con due opere di musica classica, non storcete il naso, vedrete che soprattutto nel primo caso si tratta di musica veramente travolgente, grazie anche alla fantastica esecuzione e alla simpatia degli esecutori, il direttore artistico Gustavo Dudamél, venezuelano tanto quanto l'Orchestra Simon Bolivar, tutta composta di giovani talenti. Sono bravissimi e non per niente stanno riscuotendo molto successo ovunque, anche grazie all'aiuto di nostre glorie nazionali e addirittura una gloria modenese, forse l'ultima rimasta, di cui non vi anticipo il nome, potete trovarli facilmente seguendo qualche link.


José Pablo Moncayo, Huapango



Arturo Márquez, Danzón Nº 2


E qui cambiamo decisamente registro, ma se vi capita di andare in Messico, vantatevi di conoscere il complesso della Sonora Santanera, vedrete che farete colpo sull'interlocutore!
Se poi gli citate i titoli delle canzoni, El Orangutan e Bomboro Quiña Quiña, lo shock è garantito.

Sonora Santanera, El Orangutan


Sonora Santanera, Bomboro Quiña Quiña


Non sto a mettervi il video di una delle cinquantamila versioni di Besame mucho (di Consuelo Velazquez), c'è perfino la versione dei Beatles, insomma, scegliete voi.

Per chiudere invece un po' di musica mariachi di qualità, con tre superclassici, Cielito lindo, la Malagueña, Cucurrucucu Paloma e la Negra:






Siii Señorrrr!

martedì 6 maggio 2008

Conchas!

E per festeggiare degnamente la famosa festa del cinco de mayo, la cui importanza si estende ormai ben al di là del Rio Bravo, e mantenere la promessa fatta a Mau tempo addietro, ho rotto gli indugi e messo in cantiere las conchas, un superclassico di qualunque tipico forno-pasticceria messicano.

Ho preso come base la ricetta di Panadería Mexicana, una bella rivista con tante foto-ricette scopiazzata dalla mia pasticcera-cantante di fiducia, Cynthia, paisana y vecina de Bologna.

Come se non bastasse, su youtube, ho perfino trovato un video dove mostrano la preparazione della masa de bizcocho, la pasta base delle conchiglie (concha = conchiglia) e di altri tipi di dolci di pasticceria lievitati. Benché il procedimento mostrato nel video sia lo stesso, io mi sono preso la libertà di rimaneggiare un po' gli ingredienti e mi sembra che il risultato venga ottimo comunque.



Non è bello che ci sia un corso universitario di pasticceria? Chissà se rimedierei almeno un 24/30...

Ingredienti x circa 24 conchas:
900g di farina tipo 0
6 uova
180g di burro
225g di zucchero di canna
8g di sale
un cucchiaino raso di lievito di birra secco
latte q.b (circa 160ml, dipende dalla grandezza delle uova).

Per la copertura:
240g di farina
240g di zucchero
240g di burro
cacao q.b.
crema di pistacchio q.b.

Procedimento:
Iniziate preparando il lievitino, con due cucchiai di farina, il lievito secco, circa 50ml di latte e 25 grammi di zucchero, quantità tutte presi dal totale indicato. Lasciate fermentare in un luogo tiepido finché non avrà aumentato di volume (circa un paio d'ore).
Fare una fonte sulla spianatoia e al centro mettere le uova, metà dello zucchero, metà burro e il sale. Aggiungete il lievitino. Iniziate quindi ad amalgamare bene partendo dal centro e incorporate man mano tutto il resto. Alla fine quando avrete ottenuto una massa uniforme, incorporate anche il resto dello zucchero e del burro, continuando a lavorare fino a quando la pasta non si stacca bene dal piano di lavoro. Mettete a riposo l'impasto e lasciatelo lievitare, dopo di che lavoratelo nuovamente qualche minuto e mettete nuovamente a riposo in frigo per almeno 8 ore o più. Successivamente tirate fuori l'impasto e riportatelo a temperatura ambiente, poi suddividetelo in parti uguali di circa 60-70g. Formate delle palle e poi disponetele su più teglie (tenete presente che la dose è per oltre 20 conchas...). Schiacciate leggermente i bordi per ricavare una forma a conchiglia e copritele mentre preparate la copertura.


Impastate la farina, lo zucchero e il burro a temperatura ambiente, otterrete una pastella molto friabile che starà assieme a fatica, suddividetela secondo i gusti per aggiungere gli altri sapori. Questa volta volevo provare questo abbinamento con la crema di pistacchio di Bronte, assai poco messicana per la verità, ma con la benedizione uxoria e tanto basta, così ne ho aggiunto appena 2 cucchiaini da caffè a due porzioni di copertura e il sapore è fantastico. Per la copertura al cacao, mettete un cucchiaino da caffè non stracolmo di cacao amaro per ciascuna porzione di copertura. Formate con le dita una specie di pastellina sottile che appoggierete su ciascuna concha, cercando di coprire bene. Una volta fatta questa operazione, per i fortunati possessori di un marcador para conchas, si tratta semplicemente di applicare il prodigioso strumento per fare la caratteristica decorazione che vedete nelle foto. Gli altri meno fortunati dovranno usare la fantasia e il coltello a mano libera.

Apriamo una parentesi alla Trapattoni: quando andai per comprare il prodigioso attrezzo nel rifornitissimo negozio "La Alpina" a Città del Messico, in vetrina c'era questo curioso annuncio di ricerca di personale:


e chissà se nel frattempo siano riusciti a trovare qualcuna con voglia di lavorare.

A questo punto rimettete las conchas a lievitare, le incisioni fatte nella copertura vi daranno un'idea del grado di lievitazione. Tenete presente che durante la cottura tenderanno ad aumentare di volume ulteriormente.
Cuocere nel forno per circa 20 minuti a 180 gradi.


Si diceva all'inizio della festa del cinco de mayo. Non pensiate che i messicani festiggino la morte di Napoleone Bonaparte, il 5 maggio è la ricorrenza della vittoria nella battaglia di Puebla (1862) contro gli invasori francesi, ad opera del generale Ignacio Zaragoza. E non crediate neppure che io mi ricordi i nomi di tutti i generali messicani che hanno vinto qualche battaglia, il generale Zaragoza mi è rimasto impresso perché l'anno scorso avevamo preso in affitto un cuartito all'angolo della strada dedicata a proprio a lui...
Ma tornando agli eventi gloriosi, la cosa buffa è che poi in realtà i messicani, vinta la battaglia, persero la guerra l'anno successivo, salvo poi abbattere definitivamente il monarca straniero nel 1867, fucilando il malcapitato arciduca Massimiliano d'Asburgo senza tanti processi, su ordine del grande presidente Benito Juarez.
Ora fatevi la domanda e datevi la risposta, secondo voi, Benito Mussolini, come mai fu battezzato Benito?
E come mai all'EUR, a Roma, ci sono un busto e una piazza intitolata a Benito Juarez?

Insomma, essendo i messicani abituati ad accontentarsi (chi s'accontenta gode...), si accontentarono di proclamare festa nazionale quella vittoria transitoria, preludio alla rincoquistata indipendenza, da non confondere con la guerra d'indipendenza dal 1810 al 1821...

E adesso magari qualcuno chiederà, sì ma che c'entrano las conchas?
Nulla, erano solo un pretesto per parlare del Messico :-)

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