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mercoledì 14 agosto 2013

Pulpo a la gallega detto anche pulpo á feira

Tra gli innumerevoli miti culinari quello relativo alla cottura del polpo mi è sempre parso uno dei più curiosi e non solo a me. La mia passione per il pulpo a la gallega rimonta ai fastosi tempi di... Londra, dove c'erano alcuni ristoranti spagnoli molto in voga.

Pulpo a la gallega
Ricordo che quando ci si recava a cena al ristorante "Los remos", tutte le volte si finiva per ordinare il polpo alla galiziana e scattava immancabile la domanda al cameriere su come si cuocesse il polpo: molto gentilmente il cameriere spiegava che il polpo veniva immerso per tre volte nell'acqua bollente e zacchete, fine della storia.
Un mio collega napoletano, che di polpi ne doveva aver cotti diversi in vita sua scuoteva il capo sostenendo che era impossibile rimanesse tenero in quel modo e che la cottura doveva essere ben più lunga, ma il cameriere era irremovibile.

Curiosamente di recente ho visto un video, con tanto di giovine chef dove il mito dei 3 tuffi in acqua bollente viene ripreso, ma, come dire, alla rovescia, perché poi, finiti i tuffi, il polpo rimane a cuocere in pentola per altri 30 minuti.

Allora viene da pensare che in fondo i 3 tuffi siano molto coreografici ma assolutamente inutili.
Per fortuna, la mia teoria sembra sia condivisa perfino da qualche gallega doc, infatti Pilar, a cui saccheggiai già la ottima ricetta del caldo gallego a suo tempo, condivide la mia teoria.

Viene quasi voglia di tornare a Londra solo per vedere cosa succedesse veramente in quella cucina....

Ingredienti:
1Kg circa di polpo decongelato
olio extravergine d'oliva q.b.
sale grosso q.b.
paprika dolce al gusto
aglio (opz.)

Procedimento:
La preparazione è estremamente semplice: mettete un pentolone d'acqua NON salata a bollire. Alcuni vi pongono anche una testa d'aglio tagliata a metà, ma a quanto pare la cosa è facoltativa. Quando l'acqua bolle, immergete il polpo e lasciatelo per almeno 35-40 minuti. Trascorso questo tempo, provate a forare con una forchetta nella parte più consistente del polpo. Se la forchetta entra, spegnere e poi lasciare il polpo nella pentola per altri 15-20 minuti. Pilar dice di più, ma probabilmente questi tempi cambiano in qualche misura in base alle dimensioni del polpo.
Toglierlo dall'acqua ed asciugarlo.

Pulpo á feira
Tagliate il polpo con le forbici o con un coltello, l'operazione deve essere abbastanza rapida per poterlo servire caldo. Tipicamente va servito su un tagliere di legno. Disponete i pezzi sul tagliere, poi spolverizzateli con paprika, dolce o piccante, al gusto, sale grosso e infine olio extravergine d'oliva.
Si può accompagnare anche con patate lesse, altrimenti è delizioso anche con del semplice pane.

sabato 24 luglio 2010

L'arte di soffriggere in padella

Oggi scrivo due righe due, giusto per fare ciò che gli americani chiamano "debunking myths", cioé smontare le leggende (metropolitane e non).


Uno dei luoghi più comuni in Italia riguarda senz'altro la cucina americana: alzi la mano chi non si è mai trovato a discutere con qualcuno che sosteneva la tesi de "ma gli americani non sanno cucinare".

Ecco, se c'è un mito da abbattere è proprio questo.
Gli americani non solo sanno cucinare, ma addirittura, quando si tratta di insegnarlo ad altri, sanno essere magnificamente precisi, persino troppo, verrebbe da dire.

Questo piccolo polemico preambolo per introdurre un video, segnalatomi da mia moglie, più canadese che americano (speriamo che non si offendano!), ma poco importa, la sostanza qui è ciò che conta: saper soffriggere è una scienza esatta, quindi bando alle chiacchiere, ai si dice e agli stupidi campanilismi.

Il video è in lingua inglese, of course.

E ovviamente chi abbia voglia di continuare l'annosa polemica troverà pane per i suoi denti :-)

martedì 22 settembre 2009

Pasta cacio e pepe

L'apparente semplicità di certe ricette non significa affatto che siano banali.
Ad esempio, la famosa pasta cacio e pepe, il non plus ultra della semplicità apparentemente, appartiene a questo tipo di preparazioni, in cui fondamentalmente tutto dipende dalla bontà degli ingredienti e dalla cura dei pochi particolari.

Per chi non è di Roma, e sono tanti, l'uso di un formaggio diverso dal vero pecorino romano può sembrare lecito, anzi, quasi una miglioria sotto certi punti di vista, il che non può che suscitare l'orrore dei romani de Roma. Qualche giorno fa infatti ho scambiato qualche opinione in merito con le mie forumiste preferite e quasi venivamo alle mani... :-D Mi sono azzardato a dire che avevo preparato cacio e pepe con del pecorino di grotta!

Dato che nonostante tutto, l'approccio scientifico-gastronomico è ancora il metodo prediletto per dirimere certe questioni, come appunto stabilire se il pecorino romano sia l'unico formaggio consentito nella preparazione della pasta cacio e pepe, sabato ho comprato apposta del pecorino romano da destinare all'esperimento.

In realtà i romani non hanno torto a difendere la ricetta tradizionale dagli assalti dei padani muniti di parmigiano reggiano, non perché il parmigiano non sia buono, ma semplicemente perché il sapore è proprio diverso.

Il pecorino romano, contraddistinto da una salatura piuttosto spiccata rispetto ad altri tipi di pecorino, una volta fuso dall'acqua di cottura della pasta, crea una salsa più saporita rispetto agli altri tipi di pecorino.

Sul fatto poi di usare l'escamotage di travasare l'acqua di cottura sul pecorino grattugiato anziché fare il contrario, potremmo duellare a lungo senza pervenire ad alcun accordo. Io faccio così perché è molto più facile calibrare la quantità d'acqua che non andando a occhio, ma l'oste romano che prepara cacio e pepe da venti generazione sicuramente scuoterà il capo: Tlazzò, ma che stai a fà, 'a ricotta?

Ingredienti x 4:
400g pasta
100g di pecorino romano
pepe nero da macinare al momento, al gusto

Procedimento:
il bello della pasta cacio e pepe è proprio nell'essere tanto buona quanto rapida da preparare.
Mentre la pasta bolle, si grattugia il formaggio, si versa in un pentolino e quando la pasta è cotta, ma ben al dente, si pigliano due o tre cucchiaiate di acqua di cottura e si versano nel pentolino del formaggio, mescolando per ottenere una salsina con la consistenza dello yogurt. Si scola la pasta, si versa nella pentola, si aggiunge la salsa, una abbondante macinata di pepe nero fatta al momento ed ecco pronto un primo da leccarsi i baffi.

La quantità di pepe nero va a gusti, c'è chi ne mette tanto, chi meno, provate e decidete come più vi aggrada.
L'importante è usare pepe in grani macinato lì per lì, non quello svanito.
Il mio istinto mi dice anche che avendo del tartufo nero a disposizione al posto del pepe verrebbe fuori un'altra ricetta succulenta, ma di questo magari ne parleremo a tempo debito.

venerdì 13 febbraio 2009

Zuppa di cicerchie no global

C'è chi sostiene che la globalizzazione minacci certe nostre specialità alimentari e tradizioni.

C'è addirittura chi, oltre a sostenerlo, agisce concretamente nel maldestro tentativo di limitare le libertà gastronomiche, inventando di sana pianta ottusi provvedimenti o suggerendo di boicottare certi prodotti tipo gli ananassi.
La questione mi tocca particolarmente da vicino perché l'ananas è uno dei miei frutti preferiti e le prime volte che andavo in Messico, mia moglie (che a quel tempo ancora non era tale) mi faceva sempre trovare un bell'ananas formato basilica al mio arrivo.
Altro che quella striminzita mela proibita di Eva!

Questi divieti in teoria dovrebbero stimolare il consumo di prodotti locali in base al ragionamento che, se uno non trova l'ananas, allora sarà costretto a comprare qualcosa di locale, tipo quattro mele trentine o tre pere emiliane appena colte dal frigo.

Peccato che anche le mele e le pere spesso vengano dal Cile o dall'Argentina, soprattutto quando è finita la stagione da quel pezzo e allora uno magari finisce per comprare una cassa di birra tedesca o due bottiglie di vino australiano o una aspirapolvere olandese oppure un bell'ananas di plastica made in China.

Faccio questo esempio bislacco solo per instillare il dubbio che l'equazione:
ananas = 4 x (mele autarchiche)
magari non funziona come si vorrebbe e alla fine toccherà addirittura constatare, come dicono i compaesani del ministro Zaia, che fu peso el tacón del buso.

Da parte mia, anziché adottare improbabili rappresaglie tipo fare lo sciopero della sopressa di Schio, dichiarare l'embargo al pandoro veronese o preparare una sacrilego kebab con radicchio trevigiano, preferisco parlare di qualche prodotto poco conosciuto tipo appunto l'antichissima cicerchia che, combinata con dell'ottimo chile guajillo rigorosamente no global cresciuto sul mio patriottico balcone, produce una zuppa dal sapore virilmente piccante e dalla fiera consistenza.

La cicerchia è un legume noto fin dai tempi dei Romani con il nome di cicercula. C'è chi avverte che è tossica in dosi non meglio specificate (può arrivare a provocare una patologia chiamata latirismo), ma, m'immagino, solo se uno se la magna a colazione, pranzo e cena per 7 giorni alla settimana e non una tantum.

In ogni caso, se diventate paralitici dopo aver mangiato la zuppa di cicerchia IGP, citofonate al ministro Zaia, cultore delle denominazioni protette, non a me :-)

Ingredienti x 6 persone:
500g di cicerchie
400g di pomodori pelati (1 scatola)
1 cipolla media
1 carota media
2 foglie di salvia
2 rametti di menta
2 ciuffetti di rosmarino
2 peperoncini grandi secchi
2 cucchiai di olio extravergine
pepe nero macinato q.b.
sale q.b.

Procedimento:
ammollare le cicerchie per almeno 8 ore, risciacquarle e metterle a cuocere in acqua senza sale per 45 minuti circa. Scolatele e, una ad una, sgusciatele (auguri!).
Preparate un soffritto con cipolla e carota tritate finemente, poi quando le verdure saranno appassite, aggiungete il trito di salvia, menta e rosmarino e il peperoncino spezzettato. Continuate a soffriggere qualche istante e poi aggiungete il pomodoro, le cicerchie e sufficiente acqua o brodo per coprire tutto, infine salate. Cuocere senza coperchio per almeno una mezzora.


La zuppa di cicerchie ci è veramente piaciuta, questo legume ricorda le fave ma ha un sapore più delicato e un odore meno penetrante durante la cottura.
L'unica vera tortura è dover sbucciare le cicerchie una ad una.

E se avete brevettato un metodo per pelare le cicerchie senza ritrovarvi in pensione nel frattempo, parliamone, sapete dove trovarmi.

lunedì 8 dicembre 2008

Ma gli spaghetti al pomodoro voi come li fate?

A grande richiesta di un gourmet di Carpi (Chérp per gli indigeni), al quale ho il privilegio di tirare qualche volta le orecchie per questioni di lavoro, ma che, nonostante le mie intemerate, continua a rivolgermi la parola, oggi si parla di un grande assente dalla maggioranza dei blog di cucina: gli spaghetti al pomodoro noti anche come spaghetti alla pummarola.


Sarà perché la ricetta degli spaghetti al pomodoro viene ritenuta talmente basilare che nessuno si prende la briga di dedicargli 5 minuti, sarà forse per timore di venire sbeffeggiati da qualche napoletano DOC, insomma, a me finora non è mai capitato di vedere uno straccio di articolo (semi)serio dedicato al più grande classico della cucina italiana. O forse sono io che vedo solo quel che mi fa comodo... ;-)

Questa cosa me l'ha fatta notare proprio il gourmet in questione, "sì va bene, queste ricette che non fa nessuno, ma parliamo di qualcosa di concreto, di spaghetti al pomodoro!".
Caspita, quest'uomo ha ragione, cosa posso replicare?!?
Touché!
come dicono i francesi.

In effetti devo dire che mi è capitato di mangiare spaghetti al pomodoro ottimi, buoni, discreti ma anche pessimi.
Segno che la ricetta non deve essere poi così banale come si pensa.

Secondo il mio arbitrario parere ci troviamo fin da subito davanti ad un bivio: il pomodoro.
Usiamo il fresco o no?
Io, per abitudine, uso pelati in scatola.
E qui lancio un altro guanto di sfida: a me la conserva non piace!

Mia madre era una di quelle che a fine agosto mi portava, obtorto collo, al mercato a comprare un quintale di pomodori e poi stava in ballo per due giorni con 'sta menata di farsi la conserva in casa. E a me non ha mai entusiasmato né quella di casa mia, né quella di casa altrui.

Il risultato finale è l'abolizione della conserva di pomodoro casalinga in favore dei pelati in scatola oppure pomodori freschi, se trovo dei pomodori San Marzano decenti.
Chiusa questa polemica parentesi, prendiamo senz'altro la strada del pomodoro pelato in scatola che, se è buono, produce un sugo assolutamente degno di nota ed ha il vantaggio di essere reperibile tutto l'anno.
Volendo, a questo punto, potremmo aprire un dibattito su quale sia il miglior pomodoro pelato in scatola, ma mi astengo appellandomi alla convenzione di Helsinki.
A casa mia si usano più spesso pelati Cirio, qualche volta Casar, Annalisa, Esselunga.
Qualcuno dirà:
- ah ma caro, ma tu ti tratti bene!
- ci manca solo che inizi a trattarmi male pure io!

A mio insindacabile giudizio ritengo che i Cirio siano più saporiti di altri e il risultato venga migliore. Con dei pelati così viene da chiedersi come abbiano fatto a portarla sull'orlo del fallimento.

Prima di passare veramente alla vexata salsa, lasciatemi sfoderare l'ultima polemica, questa volta patriottica: cosa sarebbero gli spaghetti alla pummarola senza il messicanissimo pomodoro, ossia l'azteco xitomatl?
Come potete constatare, (quasi) tutte le buone ricette portano alla Madre Tierra.
Nostalgia tremenda.

E adesso basta chiacchiere che a furia di scrivere mi è venuta fame.

Ingredienti x 2 con molta fame o x 4 con poca:
400g spaghetti n.5
1 scatola di pelati
2 spicchi d'aglio
7-8 foglie di basilico fresco
olio extra q.b.
sale q.b.
zucchero (q.b. se serve)
1 acciuga sott'olio (opz.)
peperoncino rosso secco (opz.)

Procedimento:
Prendete un pentolino a bordi alti, di circa 15 cm di diametro. Versate olio a sufficienza per coprire tutto il fondo e accendete a fuoco medio. Dopo un minuto mettete gli spicchi d'aglio schiacciati. Aprite la scatola di pelati, procuratevi un coperchio adatto al pentolino. Quando voglio una salsa piccantina, prima che l'aglio diventi tra il dorato e il marroncino chiaro, metto un po' di peperoncino rigorosamente guajillo, ma questa è una variante apocrifa.
Versare velocemente il contenuto della scatola di pelati e tappare il pentolino per evitare che la cucina diventi una pista di pattinaggio. Versate acqua nella scatola dei pelati fino a metà e approfittatene per sciacquare i bordi dalla salsa rimasta attaccata alle pareti. Versate quest'acqua nel pentolino, coprite e portate a bollore rapidamente, alzando il fuoco, dopo di che togliere il coperchio e proseguire a fuoco moderato. Con l'aiuto di un forchettone di legno, riducete in poltiglia i pelati.

Trucco numero #1: se volete dare una marcia in più al sughetto, mettete una piccola acciuga sott'olio, si scioglierà da sola nel corso della cottura.

Gli spicchi d'aglio li potete lasciare e tirare via successivamente oppure togliere subito se vi causano panico, il gourmet di Carpi dice che lui preferirebbe tirarli via. Io invece di solito li lascio. Occorre salare e assaggiare e se la salsa vi sembra un po' troppo asprigna, qui scatta il
trucco #2: aggiungere mezzo cucchiaio scarso di zucchero.

La cosa fondamentale per cavare una buona salsa di pomodoro, a mio immodesto parere, è evitare che rimanga troppo asciutta o troppo acquosa. A vedersi la salsa dev'essere una salsa, cioé non deve colare come se fosse acqua e non deve sembrare polenta. Dev'essere una via di mezzo.
Trucco #3: la salsa è praticamente fatta quando vedrete apparire i cosiddetti laghi. Quando vedrete formarsi in superficie, soprattutto ai bordi, delle chiazze di colore arancione brillante o rosso, ma non torbide, devono essere di colore vivo. Questo avviene dopo circa 20 minuti dall'inizio. Se siete bravi diciamo che dovreste trovarvi con la salsa pronta al momento di scolare la pasta :-)
Aggiungete le foglie di basilico fresco, mescolate e tappate col coperchio.
E spegnete il fuoco sotto al pentolino.

Se le chiazze non si formano perché la salsa è troppo spessa, significa che l'avete fatta andare a fuoco troppo forte, potete provare a rimediare aggiungendo un po' di acqua fino ad ottenere la giusta consistenza. Se avete esagerato con l'acqua, potete alzare un po' la fiamma per farla evaporare.

E qui veniamo all'apoteosi finale. A molti sembrerà un inutile passaggio, che fa solo sporcare un'altra pentola. E invece no, è fondamentale per condire a puntino la pasta e mi fu insegnato da un simpatico signore calabrese proprietario di un ristorante a Milano, una quindicina di anni fa, peccato non mi ricordi più come si chiamava quel posto, ma in compenso ricordo che mi disse: il trucco per fare dei buoni spaghetti al pomodoro è farli saltare in padella.


Prendete una padella, mettetela sul fuoco vivo (quello che non avete spento dove si cuoceva la pasta ad esempio ), versate la salsa, buttateci sopra la pasta e mescolate bene, aiutatevi con qualche spaghetto o altro per pulire bene il pentolino, fatela saltare deve sfrigolare ma sempre mescolandola, se no si attacca. Questo passaggio richiede che la pasta sia stata scolata al dente.
Spegnere e servire gli spaghetti al pomodoro. Lo spaghetto al pomodoro dev'essere ricco di sugo, si devono vedere i baffi di sugo ai lati della bocca e alla fine si deve fare la scarpetta, se no che gusto c'è?

Detto per inciso, la pasta che mi entusiasma di più col sugo di pomodoro non sono tanto gli spaghetti, bensì le mafalde o reginette che dir si voglia.


Per finire con le provocazioni
Come vedete nella mia salsa non c'è traccia di cipolla. Si può certamente fare una salsa di pomodoro con cipolla ma non è tra le mie preferite. Mia madre, da brava nordica, usava addirittura il burro (oltre alla cipolla!).

Che le colpe delle madri non ricadano sui figli ;-)

mercoledì 6 agosto 2008

La comida callejera messicana secondo la Cucina Italiana

Oggi mi va di fare polemica.

Mi è appena arrivata la newsletter de "La Cucina Italiana", una delle mie riviste preferite, dove compare un promettente articolo sullo street food degli altri paesi.
Ovvio che mi sono capicollato a vedere cosa diceva della comida callejera messicana, rimanendo piuttosto deluso per non dire basito, dato che la lussureggiante gastronomia di strada viene ridotta al solito stereotipo dei tacos, e vabbè pazienza, e dei burritos.

Apriti cielo!

Ora, secondo un breve calcolo spannometrico di Tlazolteotl, ci saranno almeno 80 milioni di messicani che non hanno mai mangiato un burrito in vita loro, non perché non abbiano fame, anzi, ma per il semplice motivo che il burrito te lo servono al Taco Bell, in Gringolandia, mai visto neanche una volta a Città del Messico, che con i suoi 25 milioni e rotti di abitanti rappresenta quasi un quarto di tutta la popolazione messicana.
Insomma, cara Cucina Italiana, ma ti costava proprio tanto documentarti prima di scrivere il solito bignami di luoghi comuni?

E le cento e cento quesadillas?
E las flautas?
E i changarritos de guisados?
E i venditori ambulanti di chicharrón?
E le venditrici indigene di chapulines?
E las tortas al carbon?
E i venditori di alegrías, obleas e cocadas?
E i venditori di camotes e platanos con il forno a carbone su rotelle dall'inconfondibile fischio?
E i venditore di esquites, elotes asados o hervidos?
E i venditori di mango e canna da zucchero?
E i venditori di buñuelos?

Hai voglia a mangiare per strada!

No, dei burritos mi parlano.

Immaginatevi se la più autorevole rivista di cucina messicana scrivesse che in Italia si mangiano solo gli spaghetti alla bolognaise o col ketchup.

Ma per favore.

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