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giovedì 21 febbraio 2019

Crescente bolognese

C'era una volta una cucina sostanziosa per chi doveva andare a zappare in campagna.
La crescente bolognese doveva essere tuttavia un cibo di lusso riservato per occasioni speciali o forse per riciclare gli avanzi dei salumi che si producevano autarchicamente con l'uccisione rituale sul finire dell'autunno del "nimal", l'amico porcello nutrito con amore e con gli avanzi di cucina, fonte di sostentamento indispensabile di ogni famiglia contadina fino al secolo scorso, tradizione sempre più rara al giorno d'oggi per tanti motivi.

La ricetta è ispirata a quella ufficiale, depositata presso la Camera di Commercio di Bologna, con una variazione sull'impasto che nel mio caso è senza biga, ma con una lievitazione di circa 6 ore.

La crescente bolognese a differenza del vicino cugino gnocco ingrassato modenese non contiene né uova, né latte e derivati.






Procedimento:
Tagliate il prosciutto e la pancetta a dadini.
Riservate una noce di strutto che userete per ungere la superficie.
Impastate tutti gli ingredienti tranne i salumi che aggiungerete alla fine quando l'impasto è pronto, tenendone un po' da distribuire in superficie.
Distribuite la crescente in una teglia, le dimensioni potete variarle a seconda che la vogliate più o meno alta, quella in foto è da 30x22cm, per un totale di 660cm quadrati, come vedete nel foglio di calcolo.
Ungete la superficie con lo strutto rimasto e poi cospargete i dadini di salume rimasti e un po' di fiocchi di sale o sale grosso.
Fate lievitare almeno fino al raddoppio.
Cuocetela a 200C per 25-30 minuti, la superficie deve diventare ben colorita.

giovedì 12 gennaio 2017

La torta al cocco della poetessa

Incuriosito da un articolo segnalato dalla mia amica Gisella, non ho potuto resistere al fascino del tempo e della carta ingiallita, così ho sfornato nel giro di qualche ora la torta al cocco della poetessa americana Emily Dickinson, che se nell'aspetto al massimo appare come una normale torta, nel sapore è veramente deliziosa.

Torta al cocco di Emily Dickinson - Pastel de coco de Emily Dickinson
La ricetta originale che potete vedere nella fotografia del foglio ingiallito nella pagina web citata dà le dosi, come succede quasi sempre nella cucina americana, in tazze e cucchiaini. Per comodità nostra le ho convertite in grammi e millilitri. L'unica aggiunta mia è un pizzico di sale che esalta i sapori, dato che il sapore del cocco fresco di solito è più delicato di quello essiccato.
Per aprire la noce di cocco consiglio il trucco di mettere la noce in surgelo per 15 minuti perché ciò favorisce il distacco dalla parte legnosa esterna. In ogni caso serve sempre il martello per aprirla...
La prossima volta proverò per curiosità a sostituire il latte nella ricetta con quello estratto dalla noce di cocco.


Procedimento:
sbattete le uova con lo zucchero e un pizzico di sale, poi aggiungete uno ad uno tutti gli altri ingredienti, tenendo per ultimo il cocco fresco grattugiato. Imburrate e infarinate uno stampo a cerniera da 20cm.
Ho rifinito la torta prima di metterla in forno cospargendola con un po' di cocco grattugiato anche in superficie e un cucchiaio extra di zucchero di canna tipo golden caster, ma questa è stata una mia aggiunta personale.
Infornate per circa 45 minuti a 180C ma verificate comunque la cottura con il classico stecchino infilato al centro che deve uscire asciutto.
Estraetela dallo stampo e lasciatela raffreddare.




l'interno rimane morbido e spugnoso

la crosta leggermente meringata
Come tutte le torte di questo tipo, per me è meglio attendere qualche ora prima di mangiarla.

martedì 14 giugno 2016

Amarenata, bevanda di altri tempi

C'era una volta... le domeniche estive in campagna, in casa di amici, dove si sorseggiava un elisir profumatissimo e dissetante chiamato amarenata. Per anni mi era rimasta la voglia di bere questa bevanda a base di foglie di amarena, quest'anno mi sono deciso perché finalmente la mia pianta di amarene è diventata abbastanza grande da poter, anzi dover, potar alcuni rami e mettere da parte le foglie necessarie.

Ingredienti:
100 foglie di amarena fresche e pulite
1 bottiglia da 75cl di vino rosso corposo
750g di zucchero
1 limone (il succo)

Procedimento:
si lavano le foglie, si asciugano e si mettono in infusione con il vino rosso per almeno 7 giorni in un recipiente chiuso. Si filtra il liquido strizzando le foglie che saranno diventate color marrone nel frattempo. Si aggiungono zucchero e limone e si fa bollire per 10 minuti, poi si imbottiglia o si invasa.

árbol de cerezas tipo "amarene"

cien hojas de "amarena"

las hojas bajo vino tinto

L'amarenata si usa come se fosse uno sciroppo, si allunga con acqua a piacere e con l'aggiunta di ghiaccio.

amarenata con agua y hielo

mercoledì 12 dicembre 2012

Bartlaz ossia i Bartolacci di Tredozio

Il bartlaz di Tredozio, specialità locale di un minuscolo paesino dell'appennino forlivese, quasi al confine con la provincia di Arezzo, non poteva certo passare inosservato al sottoscritto, non foss'altro per il nome evocativo.

bartolaccio o bartlaz
Il bartolaccio appartiene a quella copiosa categoria di cibi cosiddetti poveri tipici degli appennini in cui ad ogni chilometro pare si produca una variazione di nome o di fatto di una ricetta base, in cui un disco di pasta di dimensioni sempre diverse fa da comune denominatore. Mi vengono in mente ad esempio le focacce leve di Gallicano, dove compare anche lì la patata lessa, seppure incorporata nell'impasto o i ciacci modenesi con il loro condimento di lardo tritato, parmigiano e aglio.
Come potete immaginare e, se non lo immaginate, vi aiuto io, esiste anche l'immancabile sagra dedicata al bartolaccio.
La ricetta che do io non è esattamente quella canonica, ma una variante forse un po' più leggera nel ripieno, ma siete liberi di aumentare le dosi di pancetta se volete. Ho letto almeno una ricetta dove al posto del parmigiano viene suggerito il pecorino, sicuramente il sapore cambia, a voi decidere come più vi piace.

Ingredienti x 16 bartolacci:
500g farina tipo 0
250g acqua tiepida
30g strutto
8g di sale

per il ripieno:
1Kg patate
130g pancetta arrotolata stagionata
130g di parmigiano (o pecorino di fossa)
sale q.b.
pepe q.b.
noce moscata q.b.

Procedimento: 
Impastate la farina con lo strutto, il sale e l'acqua fino ad ottenere un impasto liscio e morbido. Lasciate riposare per circa un'ora coperto. Nel frattempo cuocete le patate, che poi pelerete e schiaccerete, aggiungendo pepe macinato, noce moscata, la pancetta tritata e pestata e il pecorino grattugiato. Assaggiate il ripieno ed eventualmente aggiungete sale.


bartlaz o "bartolaccio", listo para cocer

Suddividete l'impasto in 16 porzioni e stendeteli in dischi sottili ma senza esagerare, circa 3 mm di spessore. Per evitare di rimanere con avanzi di ripieno vi consiglio di suddividere subito anche il ripieno in 16 parti più o meno uguali.

relleno de papa, tocino y queso "pecorino"
I bartolacci si possono cuocere sia sulla pietra refrattaria come nella foto, quella uso di solito per le crescentine, oppure sulla piastra.

los bartolacci listos para comer, cocidos entre dos piedras refractarias

"bartolaccio" descansando en una bolsa para tortillas
La caratteristica micidiale del bartolaccio è quella di mantenere il ripieno alla temperatura del piombo fuso, per cui occhio quando lo mordete! I bartolacci si prestano anche ad essere surgelati una volta cotti per essere consumati dopo averli riscaldati in forno.

lunedì 27 febbraio 2012

L'impareggiabile cannoncino mantovano

Oggi si parla di una preparazione senza pretese che però illuminerà di felicità qualunque bambino di età compresa tra 0 e 100 anni, al di sopra dei 100 non ho prove dirette sufficienti, ma sono ragionevolmente fiducioso. Si tratta del tipico cannoncino mantovano, dove il budino fa da surrogato del gelato.

Típico "cannoncino" de Mantua
È un dolce idoneo per le festicciole di bambini ai quali non sembra vero di potersi mangiare anche tre coni di fila, ma non viene disdegnato neppure dagli adulti che tendono anche loro a fare il bis, di solito con la scusa che il budino non è sceso fino in fondo al cono.

Quando ero piccino io, a Mantova era abbastanza comune trovarlo in gelateria, poi ci fu un periodo durante il quale cadde un po' in disgrazia e rimasero in pochi a proporlo, ieri invece, di passaggio davanti ad una vetrina di una gelateria del centro, ho visto che è tornato in auge.

Essendo il budino casareccio di consistenza morbida ma non incline allo squagliamento come i budini artificiali, si presta ad essere trattato come il gelato e servito su una cialda, con l'immancabile corredo di panna montata, anche quella preparata all'ultimo momento. La tanto esecrata panna si combina con il budino conferendogli una certa leggerezza, almeno nella consistenza, e nel caso del budino al cioccolato fondente ne smorza un po' il gusto amaro.

Ovviamente se avete la fortuna di potervi approvvigionare di uova ruspanti, tanto meglio, il budino può solo guadagnarci in sapore, specie il classico gusto vaniglia. Ieri siccome ero in vena di strafare, anziché limitarmi al budino bi-gusto come si vede nella foto sotto, ho aggiunto anche uno strato al sapore di nocciola.

budín vainilla - chocolate para el "cannoncino"
È un peccato che le fotografie siano così tristi, non rendono giustizia alla bontà del cannoncino.

Ingredienti:
1 litro di latte intero
100g di farina
100g di zucchero
4 tuorli d'uovo
1 bacca di vaniglia
un pizzico di sale
75g di cioccolato fondente extra amaro 75%

Procedimento:
sbattete i tuorli con lo zucchero e un pizzico di sale, facendoli diventare ben schiumosi con l'aiuto di una frusta. Aggiungere un po' alla volta la farina e poi il latte freddo, sempre mescolando. Mai aggiungere latte caldo se no la farina fa i grumi. Quando il composto sarà bello liquido e omogeneo, versatene la metà in una pentola non troppo grande e poi scaldate a fuoco moderato. Mescolate SEMPRE. Aggiungete una bacca di vaniglia incisa per il lungo, che ritirerete appena il budino accenna ad addensarsi.
Preparate lo stampo per il budino, io preferisco quelli di alluminio tradizionali, che inumidisco e poi rivesto di un velo di zucchero semolato. Quando il budino alla vaniglia è addensato e inizia a fare le bolle, versatelo nello stampo. Nella stessa pentola poi verso il rimanente composto insieme ai pezzetti di cioccolato fondente e ripeto l'operazione.
Quando avrete versato anche il secondo budino, fate raffreddare il tutto, volendo a bagnomaria, poi lo mettete al freddo per qualche ora.
Non dovrebbe essere difficile trovare qualche volontario per ripulire la pentola dal budino al cioccolato che rimane attaccato alle pareti.
Con il rivestimento di zucchero sullo stampo di alluminio io non ho mai avuto problemi a sformare il budino, ma lascio sempre passare almeno 4-5 ore, meglio ancora se va consumato il giorno successivo.

venerdì 30 dicembre 2011

C'era una volta il fiapón

Quando la povertà regnava sovrana nelle campagne mantovane (e non solo), si cercava di sopperire con la fantasia alla mancanza di ingredienti e il fiapón è una delle ricette tipiche di dolci di quei tempi di magra, a cavallo delle guerre mondiali, in cui si riciclavano obbligatoriamente anche gli avanzi di polenta, ammesso e non concesso che ce ne fossero.

fiapón, dulce de polenta típico de Mantua
Nella versione più spartana non erano prevista neppure l'uvetta, figuriamoci i pinoli, però siccome viviamo in tempi meno grami di allora, è lecito ingentilire il dolce con qualche parsimoniosa manciata di ingredienti nobili, ottenendo così qualcosa che ricorda i caldidolci, di cui già parlai a suo tempo.

Per chi volesse francescanamente optare invece per il dolce più povero in assoluto, consiglio di puntare allora sulla polenta fritta zuccherata, magari con una spolveratina di cannella, un lusso che forse ci si concedeva quando si aveva a disposizione lo strutto fresco ricavato dopo la frittura del grasso di maiale, cioè tipicamente dopo la rituale uccisione del nimál, come era consuetudine chiamare il maiale in campagna e di cui potete vedere un bel reportage fotografico sul sito della Gazzetta Gastronomica.

polenta frita con azúcar

Mia madre non faceva speso il fiapón, una parola dialettale mantovana che evoca qualcosa di floscio, di flaccido, ma quelle poche volte in cui lo faceva, veniva prontamente giustiziato da noi volontari di casa :-)
Per fortuna mia zia ogni tanto continua a cimentarsi e mi ha dato sommarie indicazioni, anche perché si tratta della classica ricetta da fare a occhio, visto che la quantità di polenta avanzata varia di volta in volta.

Ingredienti:
500g di polenta avanzata fredda o tiepida (circa)
2 cucchiai di farina
100g di zucchero
un pizzico di sale
scorza di limone grattugiata
una manciata di uvetta (opzionale)
qualche pinolo (opzionale)
15g di strutto per soffriggere

Procedimento:
ammollate per una mezzoretta l'uvetta (se vi piace) e poi unitela al resto degli ingredienti, impastando fino ad ottenere una massa abbastanza omogenea. Scaldate lo strutto in una padella di 20-22cm circa, poi versate il composto distribuendolo uniformemente.


Fatelo cuocere a fuoco moderato per almeno 20-25 minuti, poi occorre girare il fiapón sull'altro lato. Per fare ciò si può o agire tagliando il fiapón in 8 parti e girando ciascuna fetta, come dice di fare il Fraccalini, oppure fate come me, pigliate una seconda padella leggermente più larga della prima e girate il fiapón con un'abile manovra a 180 gradi, continuando la cottura per altri 20 minuti circa.
Se volete ricostruire l'atmosfera di quei tempi, dovete cuocere il fiapón su una stufa economica, quelle a legna con i cerchi di ghisa e il tubo di scarico che attraversava la cucina per scaldare l'ambiente con il suo calore.

Il fiapón deve risultare croccante esternamente e morbido all'interno e va mangiato tassativamente tiepido.
Questa ricetta la dedico all'amico Guidorzi, insostituibile guida delle tradizioni contadine mantovane, che sicuramente mi rimprovererà per aver infilato un po' di uvetta nel leggendario fiapón.

martedì 1 marzo 2011

I pizzoccheri della Valtellina per dare il bentornato all'inverno

Siccome domenica è tornato decisamente il clima invernale, ho rotto gli indugi e tirato fuori dalla dispensa la scatola dei pizzoccheri della Valtellina che avevo comprato tempo addietro.

La passione per i pizzoccheri è di vecchia data, ma la voglia me l'aveva fatta tornare Mary che li aveva fatti poco tempo fa, seppur con gli spinaci al posto delle filologiche verze. Mia madre conobbe questo piatto quando viveva a Como, dove, per poco, non ebbi i natali io medesimo. La prima volta che li mangiai, se non ricordo male, ero ragazzino, nella casa di montagna, dove questo piatto energetico trovava la sua giusta scenografia perché il riscaldamento era affidato al camino e alla stufa in cucina e per il resto quasi niente, quindi il contributo calorico dei pizzoccheri veniva sfruttato al meglio.
Se vi affascina la storia e le storie intorno alla nascita di questa singolare specialità valtellinese, vi consiglio il bell'articolo del signor Monizza dove ogni dettaglio, gastronomico, storico, etimologico, biografico, geografico, viene ampiamente trattato.
La ricetta è semplicemente quella descritta sulla scatola, con delle quantità arrotondate per questioni di economia domestica.

Ingredienti:
500g di pizzoccheri
240g di patate
220g di formaggio semigrasso (bitto o casera)
200g di verze
125g burro
3 spicchi d'aglio grandi
parmigiano reggiano grattugiato (a piacere)
sale q.b.

Procedimento:
preparare i pizzoccheri è tutto sommato molto semplice.
Si mette acqua in una pentola capiente e, nel mentre, si puliscono e tagliano sommariamente le verze a rettangoli di 2-3 cm di lato e le patate a cubetti non troppo grossi. Quando l'acqua bolle, si sala e si versano verze e patate, dopo 5 minuti circa si aggiungono i pizzoccheri che impiegheranno circa 15 minuti a cuocersi.
Mentre si cuociono i pizzoccheri si prepara il formaggio tagliato a cubetti piccoli e si frigge l'aglio nel burro fino a farlo diventare ben rosso. Quando i pizzoccheri sono cotti, si pescano assieme alle verdure con un mestolo forato e si stendono a strati, alternando con il formaggio, poi si bagnano con il burro soffritto e si servono ben caldi.

I più coraggiosi possono anche mangiare l'aglio fritto ;-)

sabato 11 dicembre 2010

Focacce leve di Gallicano (Lucca)

Qualche settimana fa, mentre cercavo non ricordo cosa, mi sono imbattuto nelle focacce leve di Gallicano che, per la somiglianza sia nell'aspetto, sia nel modo di cuocerle, mi ricordano parecchio le crescentine modenesi.


Non avendo mai visitato Gallicano, piccolo comune montano della provincia di Lucca, non lontanissimo da qui, la mia imitazione di focacce è basata più sul sentito dire e sulla sensazione visiva, oltre al fatto che senza dubbio crescentine, ciacci, necci, borlenghi e berlenghi, focacce leve, panigacci e via dicendo sono tutti figli di una "ricetta" preistorica dove il comune denominatore doveva essere la fame e la disponibilità degli ingredienti. A rafforzare probabilmente questo vincolo di parentela c'è anche il fatto, non so quanto casuale, che Gallicano nel XVI secolo rientrava tra i possedimenti della corte Estense i quali ovviamente comprendevano anche buona parte degli attuali comuni della provincia modenese e questo forse può spiegare la diffusione capillare di ricette simili, i cui nomi però cambiano ad ogni incrocio secondo la migliore tradizione italiana.

La particolarità delle focacce leve di Gallicano è la presenza della patata lessa schiacciata nell'impasto (che curiosamente mi ricorda la ricetta della focaccia pugliese). Se questa aggiunta sia nata per compensare la scarsità di farina o per una questione di gusto io non saprei dire, ma mi pare più probabile la prima ipotesi.

Lungi da me dare LA ricetta ufficiale delle focacce leve, che peraltro non ho trovato in rete, se non in termini abbastanza vaghi, senza misure, la mia sarà una specie di imitazione casereccia e sicuramente viziata dall'ascendenza padana. Il risultato però è stato quasi entusiasmante, perché le focacce leve, grazie alla presenza della patata lessa, emanano un profumo delizioso, con sentore quasi di castagna. Per avvicinarmi all'originale ho anche completato la cottura con una passata vicino al camino e non so se per suggestione o per altro, m'è parso che abbiano acquistato una fragranza speciale.

Le focacce leve, dice Daniele Saisi, si prestano per accompagnare alcuni piatti "poveri", per non dire poverissimi, quali la minestrella con gli erbi, una zuppa a base di verdure di campo oppure i fagioli all'olio, ma sono anche raccomandatissime con formaggio pecorino fresco e salumi tipici della zona quali la pancetta arrotolata, il biroldo (un insaccato imparentato con il sanguinaccio) e il lardo (quest'ultimo è un classico anche con le crescentine guarda caso).


Non avendo erbi propriamente detti a disposizione ho rimediato accompagnando le mie focacce leve con le seguenti pietanze:
* un misto di erbe di campo saltate in padella con aglio
* formaggio caprino fresco profumato con timo, maggiorana e salvia
* pecorino toscano fresco tagliato a fette sottili
* pancetta arrotolata toscana
* finocchiona
Ahimè il biroldo qua non sanno proprio cosa sia.


Ingredienti:
500g di farina tipo 0
125ml di latte sostituito con acqua dopo suggerimento anonimo
125ml di acqua  250ml acqua dopo suggerimento anonimo
50g di strutto  eliminato dopo suggerimento anonimo
8g di sale
6g di lievito di birra (un quarto di cubetto)
1 cucchiaino di zucchero
1 patata media (150g circa) di quelle farinose.

Procedimento:
lessate la patata, pelatela poi schiacciatela con la forchetta. Impastate la farina con il lievito disciolto con lo zucchero (basta mescolare zucchero e lievito per qualche minuto), la patata schiacciata, il sale, il latte, l'acqua e lo strutto a temperatura ambiente, fino a ottenere una massa liscia e morbida, non appiccicosa.

Suddividere l'impasto in porzioni della grandezza di un pugno e lasciarle lievitare al coperto fino al raddoppio. Quando saranno lievitate, stendetele fino ad ottenere dei dischi dello spessore di mezzo dito e poi lasciatele lievitare una mezzora ancora.

Le focacce leve si cuociono negli appositi strumenti dette cotte (che nell'appenino Modenese usano per i ciacci e i berlenghi tradizionali di cui un giorno o l'altro parlerò). Non avendo le cotte, ma disponendo della piastra con la pietra refrattaria per le crescentine, ho usato quella e poi le ho passate brevemente nella padella piatta (il comál come diremmo in Messico...) sul camino. Una mi è anche ruzzolata nella cenere e il sapore m'è sembrato ancora migliore!

È bene mangiarle appena fatte, oppure surgelarle e poi riscaldarle nel fornetto per restituirgli la giusta consistenza.

domenica 14 novembre 2010

Torta di mele campanine

Da un paio di giorni covavo voglia di torta di mele, vuoi perché avevo delle mele campanine da smaltire, vuoi perché è proprio una torta tipica della stagione, vuoi perché era finita la crostata di cocco, vuoi perché devo continuare la saga delle variazioni Tlazberg sulla torta di mele.


Armato di google non ho dovuto fare molti sforzi per imbattermi subito nella torta alle mele campanine delle Terre di Pico del signor Mazzoni, che non conosco, ma al quale faccio i complimenti per l'ottima ricetta. Le terre di Pico comprendono il territorio nei dintorni di Mirandola, ossia una parte consistente della cosiddetta Bassa Modenese, terra di meloni, angurie e frutta in generale, tra cui le mele campanine, un tipo di mela piuttosto piccolo, dalla polpa dura, consistente e decisamente profumata, molto utilizzata anche nel mantovano per farci la mostarda di mele grazie proprio alla capacità di non disfarsi durante la cottura.

Ingredienti:
1kg di mele campanine
250g di farina tipo 00
200g di zucchero
200g di burro
50g di pinoli
10g di lievito per dolci
4 uova
la buccia grattugiata di mezzo limone
un pizzico di sale

Procedimento:
montate il burro con lo zucchero fino ad ottenere una crema bianca spumosa, aggiungete un pizzico di sale, le uova una per volta, poi un po' alla volta la farina e il lievito istantaneo, infine la buccia grattugiata del mezzo limone. Quando avrete ottenuto un impasto viscoso ma liscio, aggiungete metà dei pinoli. In uno stampo apribile imburrato e infarinato versate il composto e poi procedete a pulire e tagliare le mele campanine. Per evitare che diventino scure le ho sbucciate e tagliate una alla volta, operazione piuttosto pallosa ve lo anticipo... Sì perché le campanine sono piccole e diventano scure alla velocità del fulmine, per cui appena tagliate vanno mescolate all'impasto.
Quando mancano le ultime 4-5 mele, accendete il forno e mettetelo su 180 gradi. Conservate un paio di mele per la decorazione finale che però potete fare barando come me, perché avevo leggermente meno di un chilo di mele campanine per cui ho affidato la decorazione ad una mela extracomunitaria :-D


Le torte di mele di solito le spolverizzo di zucchero perché così vengono leggermente meringate. Ricordatevi da ultimo di cospargere con i rimanenti pinoli.

Si cuoce per almeno 45 minuti o anche più, controllando con lo stecchino. Io l'ho cotta per 50 minuti poi l'ho lasciata nel forno spento per altri 30, finché non si è staccata dai bordi dello stampo da sola.

Come vedete i pezzetti di mela rimangono ben visibili e abbastanza sodi.

Una torta di mele semplice e genuina in cui il sapore delle mele campanine si sposa mirabilmente con il profumo della scorza di limone e dei pinoli.
Consigliatissima!

lunedì 9 agosto 2010

Basler Läckerli

Che cos'è la globalizzazione? Trovare un'ottima ricetta di biscottini tradizionali svizzeri descritta su un sito glamour americano e riproporla su un sito di cucina messicana scritto in italiano.


Per chi non l'avesse capito, oggi si parla di Basler Läckerli, gli stupendi biscotti speziati, specialità di Basilea, che forse mai avrei scoperto se mia moglie, messicana, non avesse avuto una amica svizzera sposata con un chimico panamense che in altri tempi arrotondava la borsa di studio suonando musica mariachi a Roma.
Come vedete, le vie della gastronomia sono infinite.

A rendere la cosa ancor più stravagante, bisogna precisare che i läckerli sarebbero un tipico dolcetto natalizio che, per qualche oscuro motivo, mi sono sentito in dovere di preparare in pieno agosto, sfruttando il fresco portato da una leggera perturbazione.

Ma insomma, alla fine, come sono questi biscotti? Con la loro dote di spezie esotiche, li trovo affini al panforte senese. In altre parole, se vi piace il panforte, questi dolcetti dovrebbero proprio fare al caso vostro.

Ah, seguendo il consiglio dato nella ricetta "originale" di Gray Kunz, la glassatura l'ho fatta usando il liquorino al posto dell'acqua, che avrebbe dovuto essere uno svizzerissimo Kirsch, ma, dati i tempi molto pre-natalizi, è diventato un autarchico maraschino. Infine, come tocco finale tlazzesco, mi sono permesso di aggiungere una bacca di pepe lungo, che in queste ricette d'altri tempi ci sta sempre benone.

Ingredienti per circa 60 basler läckerli:
500g di farina tipo 00
450g di miele (ho usato quello di castagno, ma forse un millefiori sarebbe più filologico)
160g di zucchero di canna non raffinato
100g di mandorle non pelate
70g di cedro candito
2 uova
2 cucchiaini di scorza di limone grattugiata
1 cucchiaino e 3/4 di cannella macinata
1/4 cucchiaino di macis (la prossima volta la tolgo, non sono sicuro che m'entusiasmi)
3/4 cucchiaino di noce moscata
6 bacche di pimento
6 chiodi di garofano
1 bacca di pepe lungo piper longum (opz.)
1 cucchiaio di succo di limone
1 cucchiaino di sale1 cucchiaino colmo di lievito istantaneo
burro q.b.

per la glassatura
100g di zucchero a velo
2 meringhe piccole macinate
4 cucchiai di Kirsch (sostituito con maraschino)
acqua q.b.

Procedimento:
scaldate il miele fino al punto di ebollizione, spegnere subito e versatelo in una ciotola assieme allo zucchero di canna, mescolando fino a sciogliere completamente lo zucchero (si può usare il mixer per questa operazione). Lasciate raffreddare. Nel frattempo mescolate la farina con le spezie macinate e il sale.

Quando la melassa sarà tiepida, aggiungete il succo di limone, le uova e la scorza di limone grattugiata, mescolate bene, infine aggiungete un po' alla volta la farina con le spezie, le mandorle e il cedro candito.
Imburrate e infarinate una teglia da forno grande (la mia è 45x36cm ed è risultata perfetta per questa quantità di impasto) e stendete il composto uniformemente. Portate il forno a 180 gradi e infornate per 40 minuti circa.

Mentre i läckerli sono in cottura, approfittatene per preparare la glassa. Frullate 100g di zucchero semolato e due meringhe piccole (da 3-4 cm di diametro). Unite il liquore fino ad ottenere un composto denso ma scorrevole, aggiungendo un po' d'acqua se necessario.

Appena sfornata la teglia, cospargete con la glassa e lasciate raffreddare completamente prima di estrarre.

Su un tagliere, rifilate i basler läckerli eliminando i bordi (da mangiare in anteprima...) per ottenere un perfetto rettangolo, che poi va suddiviso in pezzi di circa 5 x 2 cm o come preferite.

Consiglia di degustarli dopo qualche giorno, tenendoli chiusi in scatole di latta o in barattoli di vetro. E se l'imitazione non dovesse soddisfarvi al 100%, potete sempre comprare gli originali alla Basler Läckerli Huus...

sabato 8 maggio 2010

Gorditas de harina con nata

Sebbene la somiglianza sia notevole, queste non sono crescentine modenesi, bensì messicanissime gorditas de harina con nata.

Ma, mentre le crescentine tendono al salato, las gorditas virano decisamente al dolce e si prestano per una semplice colazione a base di caffellatte, più che altro.
In effetti il metodo di cottura è simile, si adagiano su una piastra con calore non troppo intenso per diversi minuti, finché entrambe i lati non hanno assunto un colorito vivace. La comune origine contadina si ritrova nell'uso di semplici ingredienti: farina, strutto, panna, uova e zucchero.

Ricordo la prima volta che assaggiai las gorditas, ne comprammo un sacchetto da una venditrice ambulante al casello dell'autostrada che va da Morelia verso Toluca, di ritorno da Guadalajara.
La vendita di prodotti artigianali lungo la strada, specialmente dove si formano code di automobili è veramente un classico in Messico e probabilmente in tutta l'America Latina, anche perché è il solo modo di sbarcare il lunario per certe famiglie. Per quel che mi riguarda ho sempre visto la cosa con estrema curiosità ed entusiasmo, difficilmente dico di no ad una marchantita che mi offre un sacchetto di cemitas.

Ho rimaneggiato una ricetta presa da uno dei sacri testi di Diana Kennedy, non avendo a disposizione la vera nata, cioè la panna da affioramento del latte intero, sostituendola con panna fresca normale e aggiungendo 50g di farina rispetto all'originale per ottenere un impasto della giusta consistenza.

Ingredienti:
500g farina
150g zucchero
75g strutto
150g panna fresca
2 uova
1 pizzico di sale

Procedimento:
la preparazione è semplicissima, si mescolano strutto, panna e zucchero a temperatura ambiente e poi si uniscono il sale, le uova e la farina, fino ad ottenere un impasto molto morbido e leggermente appiccicoso. Con l'aiuto di un po' di farina si formano delle palline di circa 2 centimetri e mezzo che poi si schiacciano leggermente con l'aiuto della macchina per fare le tortillas (o a mano!), ma senza esagerare, si devono ottenere dei dischi altri poco meno di un centimetro.
Dopo averne preparato diversi, s'iniziano a cuocere sette o otto per volta, su una piastra piatta riscaldata da un fuoco medio basso.

È importante che non si brucino, quindi tenetele sotto controllo. Dovrebbero bastare circa 5 minuti per lato. Una volta raffreddate le potete conservare in un sacchetto chiuso per qualche giorno, riscaldandole di volta in volta.

E la soddisfazione maggiore è vedere che l'erede ne va assolutamente entusiasta.

martedì 20 aprile 2010

Il bussolano ovvero al busolán

Il cugino mantovano del bensone modenese è il bussolano mantovano e come quasi sempre capita nelle ricette somiglianti tra le due sponde del Po, quella gonzaghesca è più ricca di grassi.


Direi che sia fuori di dubbio che l'antenato comune sia nato probabilmente a metà strada e si sia diffuso in tutte le campagne circostanti, seppure cambiando nome ad ogni sosta. Che parliamo di bensone, di bussolano o di pinza, sempre di un pane dolce a base di uova, farina e grasso si tratta, anche se le proporzioni variano.

La ricetta di questo bussolano proviene dal sito della cucina mantovana e quando l'ho assaggiato ho provato una sorta di flashback, perché era sicuramente una delle ricette del repertorio di mia madre, che magari sfoderava quando non era in vena di fare cose più complicate. Si tratta di una ricetta assai semplice che non pone problemi di sorta.

Ingredienti:
400g farina tipo 0
150g zucchero
150g di strutto (o burro o metà e metà)
50g di latte
2 uova
una busta da 16g di lievito vanigliato
un pizzico di sale

Procedimento:
sbattere lo zucchero con lo strutto e quando sarà divenuto ben cremoso, aggiungere i tuorli d'uovo uno alla volta, riservando le chiare per dopo. Aggiungere la farina e il lievito e impastare versando il latte un po' alla volta. Montare a neve le chiare d'uovo con un pizzico di sale e incorporarle al resto, mescolando delicatamente. Infarinare una leccarda da forno e stendervi sopra l'impasto, volendo a forma di ciambella oppure a forma di semplice bastone, aiutandosi se necessario con un po' di farina per maneggiarlo meglio. Infornare per circa 30 minuti a 180 gradi, in ogni caso verificate con lo stecchino che l'interno sia cotto.

Il bussolano si presta molto ad essere gustato con un bicchiere di latte, ma certamente in campagna, a fine pasto, finiva imbevuto nel lambrusco.

Nonostante in origine il bussolano fosse un dolce a pasta dura, adatto proprio per essere intinto nel vino, la versione moderna si mantiene piacevolmente morbida e si scioglie in bocca.

sabato 21 novembre 2009

I cotechini di Fava ovvero la Ferrari dei cotechini

Nonostante il cotechino assieme al cugino zampone siano diventati una classica pietanza da cenone di San Silvestro, quando mi capita per le mani un signor cotechino di Mastro Fava da Castelletto Borgo (Mn), già salumiere di fiducia fin dai tempi dei miei nonni materni, ormai oltre quaranta anni fa, non ci sono santi e capodanni che tengano, finisce cotto al vapore alla prima ghiotta occasione con un pigiamino di fagioli o lenticchie a corredo.

Questo lussureggiante esemplare mi era stato regalato da mia zia, assieme a quattro salamelle che avevo già giustiziato alla solita maniera, cioè nel rís e salamele. Sono già vari anni che non vedo il sig. Fava di persona, ma per fortuna i miei zii tengono ancora i contatti e ogni tanto mi elargiscono questi meravigliosi doni.
Ricordo però molto bene la sua bottega e il profumo della stanza di stagionatura dei salami, per non parlare della sua celebre pancetta arrotolata, un'esperienza quasi mistica. Temo che in mancanza di un navigatore GPS ora non riuscirei manco ad arrivare a Castelletto Borgo, perché il progresso, come si suol dire, s'è mangiato le vecchie strade di campagna per lasciare posto a questi bei capannoni prefabbricati di color grigio fumo, alle tangenziali e alle villette a schiera.

Senonché questa volta la ghiotta occasione s'è presentata inaspettatamente quando mia moglie, di soppiatto, l'ha tagliato, pensando fosse uno dei celebri salami del mastro salumiere mantovano, per farlo assaggiare ad un ospite. Immaginatevi che vi stappino la bottiglia di vino prestigioso per farci del ragù, stavo per svenire quando ho visto il prezioso insaccato trafitto dalla proditoria lama d'acciaio.

Ma non posso farle una colpa, la passione per i salumi è una cosa decisamente europea, Argentina a parte. Nella cucina messicana i salumi, genericamente detti embutidos, sono per lo più costituiti dalla famiglia dei chorizos, una chiara eredità spagnola. Non che i messicani non conoscano prosciutti e salami, il jamón serrano spagnolo è ben noto ed esistono perfino finte marche italiane che spacciano improbabili prosciutti cotti di Parma, ma diciamo che, sia per questioni economiche, sia gastronomiche, il messicano medio vive benissimo senza la compagnia di prosciutti, salami e mortadelle.

Ora, in base a cosa dichiaro che questo particolare cotechino è la Ferrari dei cotechini?
Contrariamente a quel che si può pensare, cioè che si tratti della semplice opinione di un parvenu della gastronomia, oso affermare che esistono degli incontrovertibili criteri empirici per giudicare la bontà di un cotechino, che vado ad elencare:

  1. Un buon cotechino, emana un odore gradevole anche prima di essere cotto.
  2. Durante la cottura non appesta la cucina con un odore simile a quello che sentite arrivando al casello di Modena Sud provenendo da Bologna.
  3. Il sapore è gradevole, ben bilanciato, non ha punte aspre, ma soprattutto non è maialesco.
  4. Non incontrate parti dure o immasticabili.
  5. Tre quattro ore dopo l'avrete digerito senza problemi e senza l'aiutino dell'alka seltzer.

Inutile dire che questo soddisfaceva ampiamente tutti questi criteri per unanime decisione di tutti i commensali.
Perciò standing ovation per il Mastro salumiere Fava e i suoi venerabili 80 anni e passa, speriamo di poterne gustare ancora molti di cotechini così!

sabato 19 settembre 2009

Elotes asados - pannocchie di mais alla griglia

Non so se qualche gourmet storcerà il naso di fronte a questa non-ricetta, nel caso pazienza, gli elotes asados me li mangerò tutti io più che volentieri.

Nonostante la disarmante semplicità, la pannocchia di mais cotta alla brace è uno dei cibi di strada per eccellenza, uno sfizio da rosicchiare durante la passeggiata domenicale oppure qualcosa di buono ed economico per chi non può permettersi di più e sono tanti purtroppo.
Questo dev'essere stato il cibo degli indigeni già molto tempo prima che qualche ignoto genio gastronomico inventasse il processo di nixtamalizzazione del mais (gracias Nora!), cioè la cottura del mais in acqua con calce per poi ricavarne la masa, con la quale preparare tortillas e tamales.

Benché dalle nostre parti il mais bianco a grani grossi non si trovi, la pannocchia di mais giallo semidolce fresco, non quella già cotta a vapore, è un accettabile surrogato, dato che, come si dice in Messico, peor es nada...
La cottura è decisamente semplice, anche se richiede un minimo di sorveglianza, le pannocchie si collocano sulla griglia con le braci ben vive e si girano di tanto per evitare di carbonizzarle. In circa 15-20 minuti saranno ben cotte e a quel punto si condiscono sfregando uno spicchio di lime su tutta la superficie, sale e per chi lo desidera peperoncino macinato, che in Messico in questo caso è il chile piquin.
Se non avete la possibilità di cuocere le pannocchie sulla braci, è possibile anche cuocerle in un grill elettrico, anche se purtroppo il gusto ne risente.

Per dire quanto venga preso seriamente questo cibo, in Messico, in certi negozi di forniture per cucina, si possono comprare dei mega spiedi di legno usa-e-getta che si infilano dentro al mais grazie alla punta acuminata, mentre gli americani si sono inventati gli attrezzi che vedete qui sotto, da infilare agli estremi della pannocchia:

Come vedete, per fare qualcosa di autenticamente messicano, basta veramente molto poco.

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