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sabato 17 settembre 2011

La bistecca alla fiorentina secondo Ghioldi

Ed eccoci qui, pronti (?) per affrontare le sfide del futuro, a dire il vero abbastanza incerto, dopo aver ricaricato le pile nella Madre Tierra, sperando che non si scarichino troppo velocemente.


Era mia intenzione ricominciare la solfa con una succulenta ricetta messicana ma la provvidenziale scoperta di un articolo di giornale all'ultimo minuto mi ha evitato di scrivere un sacco di fandonie per cui ho deciso di posticipare la pubblicazione dopo che avrò effettuato ulteriori prove e tanto vi basti per il momento :-)

Capita così che l'argomento in programma anziché essere misterioso dolce tipico regionale messicano, diventi improvvisamente una per niente misteriosissima bistecca alla fiorentina, che pure ha i suoi segreti se non vogliamo che diventi una suola di scarpa o per meglio dire di anfibio dell'esercito.
D'altra parte l'altro giorno avevo voglia di bistecca, ma proprio voglia di bistecca, così mi son detto: quasi quasi vado da quel macellaio che sta là e che sa il fatto suo e vediamo cosa mi propone.

Chi è il macellaio in questione è presto detto ed essendo un macellaio dei nostri tempi è dotato perfino di sito internet, il che non guasta perché potrete vedere dalle foto che si tratta di un personaggio sui generis, come vuole la miglior tradizione. Se c'è un candidato a diventare il mio macellaio di fiducia, il simpatico Ghioldi è candidato numero uno. Come vedete dalle foto sul suo sito, bovini, ovini e suini ricevono le sue affilate e affettate attenzioni, tant'è che sto già assaporando il momento in cui per qualche occasione speciale gli ordinerò un lechón o un cabrito da infilare nel mio fornetto a legna.

Insomma, entrato nel tempio della ciccia, come lo chiama il nostro sacerdote, ho capito subito che lì dovevo rimettermi umilmente al giudizio del celebrante, avendo io avanzato una richiesta assai improbabile, se non impossibile: una fiorentina da 400 miseri grammi con osso.
Il fermo ma benevolo scuotimento di capo del Ghioldi decretava inequivocabilmente che la mia era la classica domanda da pirla.
Senza ulteriori indugi mi mostrava due fiorentine da 900 grammi, stagionate 25 giorni, praticamente il peso minimo per poterla chiamare fiorentina.
E così sia, mi dia la bestia da 900g, non sia mai che mi arrendo senza combattere.

bisteck tipo "fiorentina"
Come vedete dalla foto sottostante, la bistecca era alta quasi due dita.
bisteck de dos dedos de grosor

Una volta deciso il mio destino gastronomico, il Ghioldi passava senza tante cerimonie a spiegarmi i tempi di cottura: 5 minuti su un lato, 5 sull'altro, sulla bistecchiera rovente. Per evitare sorprese mi fornisce persino un foglio con le istruzioni, che se fossimo in America intitolerebbero sicuramente "T-Bone steak for dummies".
Il foglietto in questione in effetti contiene informazioni interessanti per la cottura in generale, mai tirarla fuori dal frigo all'ultimo minuto, ma ben prima di cuocerla e anche specifiche per la cottura al carbone, laddove dice che una volta cotta su ciascun lato, è consigliabile metterla in verticale sulla griglia per altri 15 minuti. Non mancherò di provare alla prima occasione.

Siccome conservavo il ricordo di un'eccellente fiorentina gustata nella trattoria Altopascio a Milano, dove la servivano assieme a verdure arrostite miste, ho tirato fuori un peperone e mezza cipolla, in mancanza di meglio, e le ho fatte abbrustolire dopo averle unte sommariamente. Se avete alla mano zucchine e radicchio trevigiano, vi consiglio caldamente di aggiungere anche quelli.


verduras a la parrilla para tener compañía al bisteck

Nel mentre, sull'altro fuoco scaldavo la bistecchiera per non meno di dieci minuti a tutto gas, facevo la famosa prova del mercury ball point, come già visto a suo tempo e adagiavo sulla piastra rovente la bistecca sacrificale, facendo scattare il cronometro.

las rayas oscuras indican que hubo la reacción de Maillard

Dopo 5 + 5 = 10 minuti, la fiorentina era pronta come previsto dal guru, con le sue brave strisce abbrustolite ma non carbonizzate, come insegna il Bressanini svelandoci i misteri della reazione di Maillard. Una macinata di pepe fresco e sale, completavano l'opera.

el bisteck me gusta así
La carne era molto tenera, non al sangue, saporita, evidentemente merito della sapiente stagionatura oltre che della cottura a puntino.
la carne se puede cortar facilmente
La parte del filetto si poteva staccare con la forchetta e, infatti, si è staccata senza lasciare traccia :-)
Passo e chiudo.

PS: a cose fatte ho saputo che il simpatico Ghioldi, all'anagrafe si chiama in realtà Gianluca Zamboni.
Nomen omen, quasi!

domenica 26 settembre 2010

Schiaccia con l'uva

E pensare che fino a meno di una settimana fa, nemmeno sapevo cosa fosse la schiaccia con l'uva. Poi, complice una trasferta lavorativa, la folgorazione sulla via di Damasco, anzi, del Chianti, grazie ad una soffiata di un collega.


Che poi ho pure rischiato di rimanere a bocca asciutta, perché trovare un forno aperto di sera sul mio tragitto di rientro, non è stato facile, mi son fatto una discreta scarpinata, finché, pigliando una strada laterale quasi per disperazione, ta-da, ecco comparire il forno galeotto, per dirla con un illustre fiorentino. L'originale comperato al forno di via degli Orti Oricellari è qui sotto.

La stiaccia con l'uva, come pare dicano i veri cultori di questa specialità di stagione, che si fa solo durante il periodo della vendemmia, è una vera prelibatezza. Ho capito che la mia schiaccia era riuscita dignitosamente dal profumo che emanava che era identico a quello dell'originale comprato al forno. Leggendo a destra e a manca, ho constatato che le ricette sono tutte molto simili e si differenziano su alcuni dettagli.


C'è chi mette moltissima uva, chi ci mette anche i semi d'anice, chi invece mette rosmarino (un po' come usa fare nel castagnaccio, specialmente in Toscana), chi mette più zucchero e chi meno, chi usa più lievito, chi la fa tutta bella precisa e fotogenica e chi come me la preferisce più ruspante, con gli acini parzialmente schiacciati, anzi stiacciati, affinché il succo dell'uva formi un velo di caramello sulla crosta. C'è anche chi ne fa una variante con l'uva fragola. L'uva, mi si dice, dovrebbe essere del tipo canaiolo, cioé uva da vino, da Chianti, tanto per fare un nome noto. Ora io non so dire se quella che trovai al mercato ieri era canaiolo, però era certamente un uva molto dolce e con semi. Ah, anche la presenza dei vinaccioli (i semi dell'uva) pare sia fondamentale. Con la cottura diventano croccanti e conferiscono ulteriore personalità a questo dolce campagnolo, quindi al bando l'uva senza semi!

Ingredienti:
1kg di uva nera tipo canaiolo
400g di farina
200ml di acqua gassata
100g di zucchero (4 cucchiai, ma anche un po' meno se l'uva è molto dolce)
3-4 cucchiai d'olio extravergine toscano
un quarto di cubetto di lievito fresco
2-3g di sale
un cucchiaino di semi di anice

Procedimento:
una delle cose che ho imparato usando spesso il lievito è che ne basta poco, basta avere a disposizione un po' di tempo in più e secondo me il sapore finale ne guadagna. In molte ricette si tende ad usare un intero cubetto per meno di mezzo chilo di farina, ma in realtà ne basta un quarto per ottenere un'ottima lievitazione nel giro di qualche ora.
Prendete dunque un quarto di cubetto e scioglietelo con lo zucchero, mescolandolo qualche minuto, poi diluitelo nell'acqua gassata. Mescolare il sale con la farina in una ciotola capiente e poi versare l'acqua con il lievito, mescolando il tutto con una forchetta, usando il metodo ormai collaudato della pizza soffice. Coprite la ciotola con la pellicola e lasciatela riposare qualche ora. Questa operazione si può fare anche un giorno per l'altro, mettendo l'impasto in frigo una volta lievitato.

Quando l'impasto sarà ben lievitato, stendetelo con l'aiuto di un po' di farina, ricavando un rettangolo il più lungo possibile e largo quasi quanto la leccarda da forno. Ungete la teglia e poi stendeteci sopra la pasta, lasciando a penzoloni l'eccesso che servirà per coprire. Volendo potete anche dividere in due l'impasto e ricavarne due sfogli uguali, penso che la prossima volta farò così che viene più regolare. Distribuite parte dell'uva sulla sfoglia e spolveratela con un paio di cucchiai di zucchero.

Coprite quindi con la rimanenza della pasta e di nuovo cospargete la superficie di uva e zucchero e di semi d'anice. Poi oliate generosamente. Se la volete caramellosa, consiglio di schiacciare alcuni acini d'uva sopra.
Infilatela nel forno a 200 gradi per almeno 60 minuti.

Qua sopra la vedete a circa 45 minuti dall'inizio.

Vedendo che durante la cottura l'uva rilascia parecchio succo che poi finisce sulla teglia, mi son preso la libertà ogni tanto di raccoglierlo con un cucchiaio e buttarlo sopra la schiaccia.

Quando il succo sarà diventato denso, potete estrarla dal forno.

L'interno tende a rimanere umido, piacevolmente succoso.


Si tratta veramente di una delle cose più semplici e deliziose che si possano immaginare.

lunedì 13 luglio 2009

Torta al semolino e cioccolato alla maniera di Tlaz

Inizio subito col dire che mi sono sbagliato, da gran pasticcione quale mi vanto di essere. Praticamente dei tre componenti principali della torta, non sono riuscito a farne nemmeno uno con gli ingredienti previsti. Al secondo sbaglio mi sono detto, beh, se così dev'essere, almeno facciamo degli sbagli fatti bene!

Ma prima di iniziare la disamina dei misfatti, lasciatemi spiegare come sono arrivato alla ricetta della torta di semolino e cioccolato, che prima di oggi, non avevo mai né visto, né assaggiato. Se non fosse stato per l'ignoto gourmet di Carpi che mantiene ferocemente l'anonimato nonostante le mie insistenze, non avrei mai saputo dell'esistenza di questa dolce, apparentemente un classico della pasticcerie fiorentine. Eppure appena ci siamo messi a cercare la ricetta, ne è spuntata subito una in grado di scatenare la mia curiosità e che avevo in animo di riprodurre pari pari, se non fosse che...
La ricetta stava sul computer e al computer stava mia moglie parlando al telefono con mia nipote in Nuova Zelanda ed io, benché fossi convintissimo delle dosi che vedete qui sotto, avrei voluto dare un'occhiata così giusto per non prendere abbagli e infatti ho puntualmente scambiato la quantità di zucchero della crema con quello della pasta frolla. Poi mi sono accorto pure di aver tolto un uovo nella crema rispetto all'originale, per cui ho aggiustato con una spruzzatina omeopatica di cannella. Siccome poi non avevo la nutella citata nella ricetta in questione, che sarebbe stata peraltro una variante, ho deciso di "messicanizzare" la ganache al cioccolato con un cucchiaino di peperoncino rosso macinato.
A questo punto voi capite che ormai questa povera torta nata fiorentina, ha preso la cittadinanza altrove.

Ingredienti per la pasta frolla:
250g farina tipo 00
150g zucchero
125g burro
1 uovo
1 tuorlo
2 cucchiai di vino bianco secco
4g vanillina o 1 cucchiaino di estratto di vaniglia
un pizzico di sale

Ingredienti per la crema:
mezzo litro di latte intero
100g semolino
mezzo cucchiaino raso di cannella macinata
125g zucchero
50g di burro
4g di vaniglia
1 uovo
1 tuorlo

Ingredienti per la ganache al cioccolato piccante:
100g cioccolato fondente 60%
75ml panna fresca
1 cucchiaio di latte
1 cucchiaino di peperoncino rosso macinato

Procedimento:
la preparazione della pasta frolla è molto semplice, si sbattono le uova con lo zucchero, la vaniglia, un pizzico di sale e due cucchiai di vino bianco. Si aggiungono gradualmente la farina setacciata e il burro a temperatura ambiente, fino ad ottenere un impasto morbido ma lavorabile, con il quale si riveste una tortiera da crostata di circa 26cm. Se avanza impasto potete fare una o due minitorte.

Successivamente preparate la crema al semolino, versando il latte, lo zucchero e la vaniglia in un pentolino da un litro circa. A fuoco moderato aggiungete fin da subito il semolino a pioggia, mescolando di continuo per evitare grumi. Infine aggiungete (se vi piace) appena una punta di cannella. Appena il semolino tende ad addensarsi, spegnere e far leggermente raffreddare. Approfittate di questo momento per accendere il forno a 180 gradi. Aggiungere le uova già sbattute e il burro alla crema, mescolare bene e versare nell'incavo della torta. Quando il forno sarà a temperatura, infornare per 30 minuti. A posteriori direi che forse è il caso di allungare a 35 minuti, se non 40, ma immagino dipenda dalla reale temperatura del forno.

Mentre la torta si cuoce, preparare la copertura al cioccolato facendo sciogliere a bagnomaria la tavoletta di cioccolato fondente. Aggiungere un cucchiaio di latte e quando il cioccolato sarà sciolto, togliere dal fuoco, aggiungere un cucchiaino di peperoncino macinato e unire la panna fresca mescolando rapidamente.

Si otterrà una crema di cioccolata liscia e luccicante che verserete sulla torta appena sfornata.

Come tutte le crostate, il giorno dopo, raffreddate e riposate, sono nettamente migliori.

Se la copertura di cioccolato dovesse risultare troppo sottile per i vostri gusti, non vi resta che aumentare la dose, a me però è sembrata buonissima così.
E pensare che se non fosse per il gourmet di Carpi, non avrei mai conosciuto questo dolce fantastico.

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