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martedì 29 settembre 2009

Calabazas y Chilindrinas

Oggi vi toccano un paio di classiche "paste" della tradizione messicana, cioè quel tipo di pan dulce che si mangia magari per colazione o con una tazza di caffellatte alla sera o semplicemente quando vi pare :-)
Sebbene siano forse meno famose delle conchas, si preparano nello stesso modo, dato che l'impasto base è quella masa de bizcocho che serve per numerose varianti battezzate con nomi fantasiosi, tra cui le due varianti in questione, calabazas e chilindrinas.


Quando si va in pasticceria a comprarle, tipicamente vengono avvolte in carta oleata sottile i cui estremi vengono sigillati con un abile movimento rotatorio, un tipo di confezione assai curiosa che ho visto fare solo in Messico e che ne garantisce la fragranza.
La differenza tra chilindrinas, calabazas e conchas sta nella guarnizione, per cui quando si prepara la masa de bizcocho, ci si può concedere il lusso di farle tutte e tre assieme, come ho fatto io questa volta, sebbene infornando in due rate a distanza di 24 ore e tenendo metà dell'impasto in frigo nell'intervallo.


Dato che la preparazione della masa de bizcocho la fornii a suo tempo, quando preparai solo conchas, oggi spiego solo come fare la guarnizione delle calabazas, a base di crema pasticcera e delle chilindrinas, a base di zucchero, farina e acqua.

Ingredienti per la crema pasticcera (sufficiente per guarnire 8 pezzi circa):
125ml di latte (circa)
un tuorlo d'uovo
30g di zucchero
10g farina tipo 0
2 gocce di estratto di vaniglia
un pizzico di sale

per la variante al gianduia (per mezza dose di crema):
4 gianduiotti

Procedimento:
sbattere il tuorlo con lo zucchero, il pizzico di sale e la vaniglia, quando è diventato spumoso, aggiungere la farina e mescolare bene fino ad ottenere una crema liscia. Aggiungere il latte freddo e mescolare bene.
Mettere sul fuoco moderato e continuare a mescolare finché la crema non si sarà addensata. Per renderla un po' meno densa potete aggiungere un po' di latte freddo, mescolando rapidamente con una frusta.
Per fare la variante al gianduia, sciogliete a bagnomaria i gianduiotti con un goccio di latte e poi uniteli ad una parte di crema base. Io ho fatto metà crema normale e metà al gianduia.
La crema a me piace a temperatura ambiente, per cui prima di farcire le calabazas, aspetto che entrambe siano fredde. Se le preparate alla sera, consiglio di non farcire nulla fino al momento di mangiarle, tenendo eventualmente la crema in frigo durante la notte. Al limite si riscalda per qualche secondo nel microonde prima di farcire.
Per la farcitura, praticare un taglio a triangolo e poi riempire il foro di crema, tappandolo poi parzialmente con la parte asportata (vedi foto) e poi spolverizzare di zucchero a velo.

Ingredienti per la copertura delle chilindrinas:
un cucchiaio di farina
un cucchiaio di zucchero a velo
un cucchiaino di cacao amaro
acqua q.b.

Procedimento:
mescolare la farina con lo zucchero a velo, stendere la miscela su un piatto e spruzzarla con gocce d'acqua. L'ideale è fare l'operazione con uno spruzzino. Lasciare seccare mettendo il piatto vicino ad una fonte di calore o in un fornetto a 60-70 gradi. Guarnire le chilindrinas con queste specie di briciole, aggiungere una spruzzatina di cacao (questa però è una mia variazione) e poi infornarle.
Mentre per le conchas la guarnizione va messa prima di fare la lievitazione finale, di modo che si formino i caratteristici tasselli man mano che si gonfiano, per le chilindrinas si può fare l'operazione prima di cuocerle.

martedì 22 settembre 2009

Pasta cacio e pepe

L'apparente semplicità di certe ricette non significa affatto che siano banali.
Ad esempio, la famosa pasta cacio e pepe, il non plus ultra della semplicità apparentemente, appartiene a questo tipo di preparazioni, in cui fondamentalmente tutto dipende dalla bontà degli ingredienti e dalla cura dei pochi particolari.

Per chi non è di Roma, e sono tanti, l'uso di un formaggio diverso dal vero pecorino romano può sembrare lecito, anzi, quasi una miglioria sotto certi punti di vista, il che non può che suscitare l'orrore dei romani de Roma. Qualche giorno fa infatti ho scambiato qualche opinione in merito con le mie forumiste preferite e quasi venivamo alle mani... :-D Mi sono azzardato a dire che avevo preparato cacio e pepe con del pecorino di grotta!

Dato che nonostante tutto, l'approccio scientifico-gastronomico è ancora il metodo prediletto per dirimere certe questioni, come appunto stabilire se il pecorino romano sia l'unico formaggio consentito nella preparazione della pasta cacio e pepe, sabato ho comprato apposta del pecorino romano da destinare all'esperimento.

In realtà i romani non hanno torto a difendere la ricetta tradizionale dagli assalti dei padani muniti di parmigiano reggiano, non perché il parmigiano non sia buono, ma semplicemente perché il sapore è proprio diverso.

Il pecorino romano, contraddistinto da una salatura piuttosto spiccata rispetto ad altri tipi di pecorino, una volta fuso dall'acqua di cottura della pasta, crea una salsa più saporita rispetto agli altri tipi di pecorino.

Sul fatto poi di usare l'escamotage di travasare l'acqua di cottura sul pecorino grattugiato anziché fare il contrario, potremmo duellare a lungo senza pervenire ad alcun accordo. Io faccio così perché è molto più facile calibrare la quantità d'acqua che non andando a occhio, ma l'oste romano che prepara cacio e pepe da venti generazione sicuramente scuoterà il capo: Tlazzò, ma che stai a fà, 'a ricotta?

Ingredienti x 4:
400g pasta
100g di pecorino romano
pepe nero da macinare al momento, al gusto

Procedimento:
il bello della pasta cacio e pepe è proprio nell'essere tanto buona quanto rapida da preparare.
Mentre la pasta bolle, si grattugia il formaggio, si versa in un pentolino e quando la pasta è cotta, ma ben al dente, si pigliano due o tre cucchiaiate di acqua di cottura e si versano nel pentolino del formaggio, mescolando per ottenere una salsina con la consistenza dello yogurt. Si scola la pasta, si versa nella pentola, si aggiunge la salsa, una abbondante macinata di pepe nero fatta al momento ed ecco pronto un primo da leccarsi i baffi.

La quantità di pepe nero va a gusti, c'è chi ne mette tanto, chi meno, provate e decidete come più vi aggrada.
L'importante è usare pepe in grani macinato lì per lì, non quello svanito.
Il mio istinto mi dice anche che avendo del tartufo nero a disposizione al posto del pepe verrebbe fuori un'altra ricetta succulenta, ma di questo magari ne parleremo a tempo debito.

domenica 20 settembre 2009

Torta al cioccolato della maison du chocolat

Anche questa volta ho saccheggiato una ricetta di Sandrá.
Sarà per la crisi che, a quanto pare, fa aumentare il desiderio di cioccolata o magari per qualche altro imponderabile motivo, ma oggi mi andava di fare una torta al cioccolato nuova.


Per intenderci, qualcosa che non fosse la superblasonata simil-Barozzi, la diabolica torta taculenta ferrarese, la non-Sacher Torte, o la classica ciambella nera. Era già da qualche settimana che ruminavo la ricetta della torta al cioccolato della maison du chocolat che Sandrá immortalò sul suo blog con certe fotografie mozzafiato da rischiare il diabete solo a vederle.
E per farla ancora più nuova, ho deciso di aggiungere un po' di profumo di cardamomo, per darle un tocco personale. Questa è stata l'unica variazione rispetto alla ricetta di Sandrá.
Non è una torta difficile da fare, in realtà la parte più complicata è fare le decorazioni, esercizio nel quale sono una vera schiappa.

Ingredienti:
70g cioccolato fondente 60%
70g burro
70g farina di mandorle
6 uova
2 tuorli
150g zucchero (120 + 30)
40g di cacao amaro
pizzico di sale
1 seme di cardamomo (opzionale, me lo sono inventato io ma ci sta bene!)

Procedimento:
per prima cosa imburriamo e infarinare uno stampo a cerniera da 20cm di diametro, così vi togliete il pensiero. Poi sciogliete il cioccolato a bagnomaria assieme al burro. Se vi fidate del sottoscritto, aprite un seme di cardamomo e pestate i semini all'interno, unendoli al cioccolato fuso.
In una ciotola mettete 120g di zucchero e mescolateli con due uova intere e sei tuorli. Riservate quattro chiare d'uovo che monterete a neve. Prima che diventino dure, unite i 30g di zucchero rimasti, conviene usare zucchero fine. Nel frattempo portate il forno a 180 gradi.
Unite alle uova e zucchero il cacao amaro, poi la cioccolata fusa tiepida e la farina di mandorle.
Infine unite le chiare montate mescolando dall'alto in basso lentamente e a mano.


Quando tutto sarà ben amalgamato, versate nello stampo e infornate per circa 35 minuti. In ogni caso, la solita prova dello stecchino vi dirà se la torta è cotta.


Una volta estratta dal forno, attendente un paio di minuti prima di sformarla.

Quando sarà fredda, decoratela spolverizzando la superficie con cacao amaro e riccioli di cioccolato fondente.
Per fare i riccioli di cioccolato fondente occorre prima fondere la cioccolata a bagnomaria e poi versarla in uno stampino rivestito di carta da forno, lasciandola raffreddare. In questo modo dovrebbe risultare più facile ricavare i riccioli con un pela patate ricurvo.

sabato 19 settembre 2009

Elotes asados - pannocchie di mais alla griglia

Non so se qualche gourmet storcerà il naso di fronte a questa non-ricetta, nel caso pazienza, gli elotes asados me li mangerò tutti io più che volentieri.

Nonostante la disarmante semplicità, la pannocchia di mais cotta alla brace è uno dei cibi di strada per eccellenza, uno sfizio da rosicchiare durante la passeggiata domenicale oppure qualcosa di buono ed economico per chi non può permettersi di più e sono tanti purtroppo.
Questo dev'essere stato il cibo degli indigeni già molto tempo prima che qualche ignoto genio gastronomico inventasse il processo di nixtamalizzazione del mais (gracias Nora!), cioè la cottura del mais in acqua con calce per poi ricavarne la masa, con la quale preparare tortillas e tamales.

Benché dalle nostre parti il mais bianco a grani grossi non si trovi, la pannocchia di mais giallo semidolce fresco, non quella già cotta a vapore, è un accettabile surrogato, dato che, come si dice in Messico, peor es nada...
La cottura è decisamente semplice, anche se richiede un minimo di sorveglianza, le pannocchie si collocano sulla griglia con le braci ben vive e si girano di tanto per evitare di carbonizzarle. In circa 15-20 minuti saranno ben cotte e a quel punto si condiscono sfregando uno spicchio di lime su tutta la superficie, sale e per chi lo desidera peperoncino macinato, che in Messico in questo caso è il chile piquin.
Se non avete la possibilità di cuocere le pannocchie sulla braci, è possibile anche cuocerle in un grill elettrico, anche se purtroppo il gusto ne risente.

Per dire quanto venga preso seriamente questo cibo, in Messico, in certi negozi di forniture per cucina, si possono comprare dei mega spiedi di legno usa-e-getta che si infilano dentro al mais grazie alla punta acuminata, mentre gli americani si sono inventati gli attrezzi che vedete qui sotto, da infilare agli estremi della pannocchia:

Come vedete, per fare qualcosa di autenticamente messicano, basta veramente molto poco.

martedì 15 settembre 2009

Treccine salate della tradizione modenese

Benché i grissini non siano certo una invenzione modenese, le treccine salate, che qui si hanno sempre chiamato salatini, sono sicuramente una specialità da forno locale.

Ricordo benissimo quando mia madre mi portava a comprare il pane in un forno piuttosto distante da casa nostra, praticamente dall'altra parte del centro cittadino e a me, che allora dovevo avere 4-5 anni, sembrava una traversata epica. Lì mi comprava sempre le treccine salate e sosteneva che quelle erano le migliori della città. Non so in base a quali prove sostenesse questa tesi, ma io, con un'ottima treccina salata in bocca, non mi mettevo certo ad obiettare.

A distanza di quasi quarant'anni, ogni tanto, ne compro un etto se li scorgo veramente invitanti, ma devo dire che in parecchi forni hanno un aspetto un po' triste, come se venissero preparati più per dovere che per sincera passione e in quel caso, mi passa la voglia di provarli.
Il salatino sfizioso infatti deve avere un aspetto bello a vedersi, con i suoi granelli di sale luccicanti e la superficie rugosa, non liscia come certe chiappe levigate con Photoshop, diciamo che deve avere un po' di cellulite, cosa perfettamente normale visto che sono impastati con il diabolico strutto.

L'altro giorno, in preda ad un'euforia creativa, mi son detto: "ma perché non provare a farli, non devono essere poi così difficili!". E in effetti questo primo tentativo è riuscito decisamente bene, almeno per i miei gusti.
E dato che sto attraversando questa fase di innamoramento per i sali stravaganti, ho pensato bene di usare quelli al posto del sale grosso convenzionale.

Ingredienti:
360g farina tipo 0
150ml acqua
120g strutto
12g di lievito di birra fresco
un cucchiaino di zucchero
sale q.b.

Procedimento:
sciogliere il lievito con un cucchiaino di zucchero e lasciarlo riposare finché non comincia a fare schiuma. Nel frattempo tirare fuori lo strutto dal frigo per portarlo a temperatura ambiente.
Impastare poi tutti gli ingredienti, fino ad ottenere un impasto molto morbido, leggermente attaccaticcio che poi farete lievitare ben coperto fino al raddoppio di volume.

Terminata la lievitazione, ricavate delle porzioncine di pasta dello stesso peso, grosso modo.
Nella foto qui sopra vedete l'impasto suddiviso in 22 porzioni, per nulla uguali tra loro :-)
Dato che era la prima volta che li facevo non sapevo bene se e quanto si sarebbero gonfiati e se venivano meglio grossi o sottili. A posteriori la mia preferenza va a quelli sottili, per cui vi consiglierei di fare almeno una trentina di porzioni che poi userete a due a due.

Su un piano di lavoro tirate ciascuna porzione di impasto facendola rotolare sotto il palmo della mano, deve uscire una specie di stringa lunga una trentina di centimetri o comunque non di piú della dimensione della leccarda.

Con due stringhe fate la treccia e la cospargete con i granelli di sale grosso o fino, a seconda dei gusti. Approfittatene per accendere il forno sui 160 gradi prima di iniziare questa operazione, così quando terminate il forno sarà già pronto.

Le ho cotte per 20 minuti a 160 gradi e poi, vedendo che rimanevano un po' chiare, per altri 20 minuti a 180 gradi. Poi ho spento il forno e le ho lasciate dentro.
Le treccine devono essere croccanti e friabili, non morbide.
Queste mi sono sembrate una goduria.

domenica 13 settembre 2009

Fugazza a la parrilla

Ci sono ricette di fronte alle quali un tipico golosone degno del sesto girone dantesco, come sicuramente sono io, non può resistere.

Se poi, come sosteneva Oscar Wilde, l'unico modo di vincere una tentazione è cedervi, allora sappiate che io ho già vinto per ben tre volte la tentazione della fugazza a la parrilla (focaccia alla griglia), della cui esistenza ho appreso neanche due mesi fa da Rebecca, dotta e appassionata narratrice delle delizie della cucina argentina.


Il curioso nome di questa ricetta, metà genovese e metà spagnolo, è da attribuire alla diaspora italiana in argentina tra la fine dell'ottocento e gli inizi del novecento, tra i quali ovviamente c'erano anche una folta rappresentanza di liguri. Evidentemente nel tentativo di riprodurre i cibi di casa con il poco a disposizione, è nata questa focaccia meticcia, parente della focaccia genovese, che ci riporta agli albori della cucina "italica" per non dire mediterranea, pre-romana, quando i forni da pane non erano ancora stati inventati e si cuocevano le focacce direttamente sul fuoco (da cui viene il nome) o sotto la cenere, un po' come ancora si fa dalle mie parti quando si fanno le crescentine col metodo tradizionale.

Ingredienti:
550ml acqua (può variare in base alla qualità della farina)
500g farina tipo 0
500g farina tipo 0 manitoba
4 cucchiai olio extra
un cucchiaino di zucchero
2g lievito di birra fresco (la quantità richiede una lievitazione di almeno 10 ore)
un cucchiaio di sale
cipolle (se ne usa una per focaccia, in base a quante ne volete alla cipolla)
un pizzicone di origano
pepe nero macinato q.b.
olio q.b. per soffriggere le cipolle
sale q.b.

Procedimento:
sciogliere il lievito con il cucchiaino di zucchero, con il solito metodo senza l'uso di acqua aggiuntiva. Basta mescolare un po' e il lievito si scioglierà. Se il lievito è secco in granelli molto fini, si può mescolare a secco alla farina.
Mescolare le farine, il sale, l'acqua, il lievito e i cucchiai d'olio, fino ad ottenere un impasto liscio. Queste operazioni di solito le faccio usando l'impastatrice, salvo lavorare a mano per qualche minuto l'impasto prima di metterlo a lievitare. Coprite l'impasto e lasciatelo lievitare in un luogo riparato fino al raddoppio, poi prendete l'impasto e sgonfiatelo, lavorandolo 5 minuti.
Se manca molto al momento di cuocere, consiglio di ripetere questa operazione finché non arriva l'ora fatale. Oggi pomeriggio ad esempio ho reimpastato almeno tre volte e più si fa questa operazione, meglio riesce l'impasto.
A meno di poter suddividere i compiti tra più persone, consiglio di soffriggere le cipolle in anticipo, così quando arriva l'ora di stendere la focaccia non avete altro a cui pensare.
Le cipolle tagliate a rondelle si soffriggono in poco olio per 6-7 minuti, calcolando che ciascuna focaccia richiede almeno una cipolla, con l'aggiunta di origano e pepe nero macinato.

Un'ora prima di cuocere, preparate la griglia. La fugazza l'ho sempre cotta su braci di legna e per questo servono pezzi di legna di una certa grandezza, in modo che poi si convertano in braci durature, se no usate la carbonella.


La griglia sarà pronta per la cottura quando non ci sarà più fiamma. Se le braci sono molto calde, potete probabilmente alzare il piano di cottura, altrimenti lo abbassate.
Io ho cotto in totale 5 focaccie, 4 sottili e una più spessa, le prime con braci rosse e le ultime con braci già più grigiastre, abbassando l'altezza della griglia.


La fugazza sottile tende a cuocere molto rapidamente, 2-3 minuti, vedrete formarsi le bolle piuttosto alla svelta ed è importante girarla appena vedete virare il colore verso il marroncino della parte sottostante. Dopo averla girata, la condite mentre finisce di cuocere sul lato crudo.

In questo modo, usando però anche il coperchio del barbecue, si può preparare anche una pizza a la parrilla, avendo l'accortezza di tritare la mozzarella in pezzi piccoli e appassire i pomodorini freschi in padella. Altrimenti si può anche preparare una semplice fugazza con olio e sale e qui sopra vedete un esemplare con sale nero black lava e sale red Alea, entrambe hawaiiani.

Si tratta di una ricetta ideale da degustare in compagnia e la fugazza scaldata in un fornetto elettrico il giorno dopo è quasi altrettanto libidinosa che appena fatta.

venerdì 11 settembre 2009

Buñuelos tabasqueños - receta épica

Ci sono voluti nove mesi prima di riuscire a mettere in pratica la ricetta dei buñuelos tabasqueños di Doña Lucas, rischiando perfino di veder nascere prima i pargoletti di due affezionate paisane. Però ne è valsa la pena!

In Messico è assai tipico mangiare le frittelle, i buñuelos appunto, bagnandoli con qualche liquido sciropposo e il luogo tipico è per strada, in occasione di qualche festività, seduti su uno sgabello gentilmente fornito dal venditore ambulante che su un trespolo costituito da una specie di bicicletta arrangiata in modo geniale, frigge le frittelle, cuoce lo sciroppo e trasporta tutto il necessario per mettere a proprio agio il cliente e magari anche il o la consorte.

Il motivo di una gestazione tanto lunga è presto detto: essendo lo sciroppo a base di foglie di fico il sapore più esotico e caratteristico di questo dolce ed avendo ricevuto la ricetta in pieno inverno, quando le foglie di fico si erano già trasformate in un pallido ricordo, mi sono imposto di resistere alla tentazione della variante con sciroppo alla cannella. Quando finalmente le foglie della pianta di fico che ho in giardino si sono sviluppate, è subentrata l'estate sub-sahariana a togliermi qualunque velleità di infilarmi in cucina a friggere...

Che ruminassi questa ricetta già da diverso tempo è evidente dal fatto che già quando feci i buñuelos de rodilla, ce l'avevo pronta nel cassetto.

A quanto mi dicono i buñuelos tabaqueños sono un tipico dolce natalizio dello stato di Tabasco.
L'unico modo per poterli fare a Natale in Italia sarebbe quello di surgelare lo sciroppo o le foglie di fico e non è detto che non lo faccia in onore di mio cognato che ha mi procurato questa ricetta speciale.

AGGIORNAMENTO del 24/8/2011: Grazie a Doña Quecha ho potuto vedere come si fanno in prima persona, per cui consiglio di usare la nuova ricetta, quella sotto rimane solo come documento "storico" perché conteneva delle quantità inesatte. 

Ingredienti per una cinquantina di buñuelos:
1 litro d'acqua
250g farina tipo 0
125g di margarina o strutto
4 uova
olio per friggere q.b.
un pizzico di sale

per lo sciroppo:
3 tazze d'acqua
1 tazza di zucchero
5 foglie di fico

Procedimento:
per prima cosa conviene preparare lo sciroppo, perché mentre viene pronto, si fa tutto il resto.
Si versa l'acqua in un pentolino con lo zucchero e quando inizia a bollire vi si immergono le foglie di fico spezzettate. Si lascia cuocere questo infuso a fuoco basso e coperto per almeno un'oretta, diciamo che quando comincerete a sentire un buon profumo di fichi, si può ritenere pronto.

Mentre lo sciroppo si cuoce, in un altra pentola si versa un litro d'acqua e si porta a bollore, salandola leggermente. Quando bolle, si versa lo strutto o la margarina e si aspetta che si sciolga quindi a pioggia, si incorpora la farina, mescolando energicamente con una frusta per evitare la formazione di grumi, poi si spegne e si lascia intiepidire.


Quando l'impasto è quasi freddo, si uniscono le uova, magari sfruttando l'impastatrice e si mescola finché l'impasto non diventa liscio e fa le bolle.



A questo punto ci si prepara a friggere i buñuelos in abbondante olio, diciamo almeno tre dita o quattro di profondità per consentire alle frittelle di girarsi facilmente.
Dicono che il buñuelo perfetto si gira da solo dall'altra parte quando è ora.



Con un cucchiaio cercate di formare grosso modo una pallina d'impasto e immergetela nell'olio ben caldo. I buñuelos non devono essere molto grandi, devono avere all'incirca le dimensioni di una prugna. Tenete presente che tenderanno a gonfiarsi, quindi cuocetene quattro o cinque per volta.


Si fanno scolare e si dispongono su un piatto con carta assorbente.

I buñuelos tabaqueños si degustano immergendoli ripetutamente nello sciroppo, proprio perché l'impasto è privo di zucchero.

Se ne avanzano, il consiglio è di scaldarli in forno, non nel microonde, perché tenderebbero ad afflosciarsi altrimenti si può scaldare semplicemente lo sciroppo.

martedì 8 settembre 2009

Cum grano salis - il piacere del sale

Sì lo so, è demenziale, però cosa volete farci, a me i sali strani mi eccitano la fantasia.
Se lo viene a sapere Beppe Grillo, mi fucila come nemico pubblico dell'ambiente e dell'umanità. Mi ricordo una sua battuta feroce sul fatto che agli americani piacessero i biscotti danesi al burro e ai danesi i biscotti americani al burro d'arachide, con grande spreco di gas serra per portare avanti e indietro 'ste scatole di biscotti: ma perché non si scambiano semplicemente la ricetta?



Immaginarsi quindi un demente che incoraggia lo scambio di sale tra continenti!
Come minimo rischio la fucilazione alla schiena.

In effetti anche io una volta credevo che il sale fosse semplicemente... sale, a qualunque latitudine e longitudine, figuriamoci, girala come vuoi ma alla fine sempre di cristalli di cloruro di sodio (NaCl) si parla.
Poi, un giorno, arrivò Laura a scatenare la mania per i sali del mondo, dei quali, nonostante la sceneggiata, rimango tuttora fondamentalmente ignorante, ad eccezione di pochi esemplari rastrellati di qua e di là.

Ma che ci troverò mai di tanto interessante nel sale?

Il sale grezzo può contenere impurità che dipendono dal particolare luogo di raccolta, residui di sostanze diverse dal cloruro di sodio, come ad esempio il cloruro di potassio che può conferire una sfumatura amarognola oppure venire appositamente trattato per assumere un certo colore, come nel caso di questi sali colorati delle Hawaii, il black lava dal colore nero veramente drammatico a causa della mescolanza con il carbone vegetale, il sale verde aromatizzato alle foglie di bamboo o il sale rosso all'argilla di Aloha. I sali hawaiani presentano tracce di magnesio, potassio, calcio e zolfo e nel caso di quello rosso, ferro.



Nel caso del sale rosa dell'Himalaya invece il colore è completamente naturale ed è dovuto alla presenza di impurità costituite da ferro, magnesio, potassio e calcio. Il sale dell'Himalaya è un sale fossile, residuo marino risalente a 200 milioni di anni fa. Voglio proprio vedere se i NAS troveranno da ridire sulla data di scadenza...
C'è anche un bel film che vi consiglio, intitolato proprio Himalaya, incentrato sulle vicissitudini dei raccoglitori di sale di quelle remote lande, apprezzerete ancora di più questo straordinario prodotto dopo avere visto l'epopea cinematografica del popolo del Dolpo.



Il sale blu di Persia è un altro sale fossile, la cui colorazione è dovuta alla presenza di silvinite o silvite. Niente paura, il premier non c'entra nulla con questo sale millenario, anche se forse, continuando a raccontare balle, rischia di trasformarsi in una statua di sale come la moglie di Lot...



Tra i grandi produttori di sali strani ci sono perfino i mitici Vichinghi. Abbandonati gli elmetti con le corna e le scuri, rimangono questi fiocchi di sale affumicato in cui, oltre al sale, ci sono residui della affumicatura a base di legno di quercia e olmo rosso.

Ora, tutte robe belle da vedere, ma lo scettico si chiede: e il sapore? e l'odore?

Nel caso dei sali naturali fossili, l'odore è inavvertibile. Con molta buona volontà forse si riesce a percepire qualcosa a livello gustativo a causa degli oligominerali, ma bisogna veramente assaporare i cristalli con un cibo neutro che favorisca l'operazione. Non a caso avevo provato tempo fa con le ricottine alla piastra, che di per sé sono abbastanza insipide e quindi si prestano abbastanza bene per questo genere di esperimento.

Nel caso dei fiocchi di sale vichingo invece, il profumo è veramente sublime. Ottimo anche quello del sale verde alle foglie di bambù. Il sale nero è praticamente insapore, quello rosso ha qualcosa di indefinibile (speriamo di riuscire a definirlo prima o poi...) ma ovviamente si prestano per gli effetti speciali in cucina o nella preparazione di cocktail, volete mettere un margarita con il sale nero sul bordo del bicchiere o una focaccia all'olio picchiettata di sali multicolore?

La raccolta di sali è appena agli inizi, già fremo all'idea di procurarmi qualche altro sale strano, quello rosa australiano del Murray River, quello grigio della bretagna, il sale di Guerande con il quale si preparano biscotti favolosi e chissà quanti altri ancora.

E il sale di tutti i giorni?
L'ottimo sale marino della riserva di Trapani o il "sale dei Papi" di Cervia.
Ho detto dei Papi, non "di papi".

domenica 6 settembre 2009

Tacos de carnitas caseras

Primero lo primero, devo subito ringraziare due messicane speciali, Nora per avermi indirettamente fatto conoscere Mely e Mely per aver scritto la duplice ricetta per fare carnitas de puerco in casa, una delle mie passioni gastronomiche senza se e senza ma.


Per chiarire in cosa consista questa passione incontrollabile, quasi calcistica, diciamo che se mi proponete di andare al ristorante super-mega-chic o a echarnos unos taquitos de carnitas al mercado, beh, non c'è competizione possibile, vincono i tacos de carnitas 4-0 con una doppietta di tacos de lengua al primo e al quinto minuto del primo tempo.
Non è la prima volta che i tacos de carnitas compaiono su questi schermi, anzi, sono un rito che si ripete quasi ogni anno, però è la prima volta che cucino carnitas in casa, prima di leggere la ricetta di Mely credevo fosse un'operazione quasi impossibile da fare tra le mura domestiche con risultati soddisfacenti e invece tutt'altro, las carnitas vengono deliziose, morbide e sugose proprio come devono essere.
Come al solito mi chiedo senza trovare risposta come mai questo genere di cucina così autenticamente messicano non venga proposto in luogo delle famigerate fajitas così famose ovunque eccetto che in Messico.

Ingredienti:
1Kg circa di carne di maiale (coppa, posteriore e/o altre parti non troppo nobili)
100g di strutto
1 cucchiaio di sale
15g di zucchero di canna
3 spicchi d'aglio (o meno se così preferite)
acqua q.b.
il succo di una arancia

Procedimento:
las carnitas si fanno con i tagli meno raffinati del maiale, fondamentalmente le parti di scarto o quasi, quelle di carne intrecciata al grasso per intenderci o quelle parti tipo le orecchie o il codino.

Senza andare troppo sul difficile o l'esotico, basterà usare coppa, posteriore, guanciale e/o pancetta. Nella foto sopra vedete un trancio di coppa. Si tagli in cubetti di circa 4-5 cm di lato, quindi abbastanza grossi e si mette in una pentola d'acciaio o, avendola, meglio ancora se di rame.


Si aggiunge un po' di strutto, il sale, l'aglio, il succo d'arancia, lo zucchero e si copre appena d'acqua e si fa cuocere a fuoco basso e coperta finché la carne è ben cotta (45 min - 1 ora), dopo di che si scopre e si alza a fuoco medio per far evaporare l'acqua. Man mano che il livello del liquido cala sarà necessario mescolare sempre più frequentemente, senza lasciar attaccare la carne al fondo.


La carne praticamente finisce per friggere nel proprio unto e quando avrà assunto un colorito dorato, si scola.

A quel punto sarà opportuno avere pronte tortillas calde, cipolla tritata, coriandolo fresco tritato e salsa taquera verde o rossa, a seconda dei gusti.

L'ultima volta ho trovate della salsa taquera verde non malvagia e autenticamente messicana al Carrefour, se no esiste sempre la possibilità di rifornirsi via internet da Castroni o, per chi sta nelle vicinanze, da Tlaloc a Torino o, quando ce l'hanno, al Mercato Latino a Bologna.



In basso a destra, un chile serrano appena colto dalla piantina, quello purtroppo non si trova a meno che ve lo coltiviate in balcone.

sabato 5 settembre 2009

Sügol d'üa fraga - sugolo o sugo all'uva fragola

Tra i sapori che mi ricordano mia madre ce n'è uno speciale, tipico delle campagne di queste parti, uno di quei dolci al cucchiaio che m'aspetto di trovare sul blog della cara Ivana, sempre molto legata alle ricette tradizionali locali. Parlo del budino d'uva, o sügol, in dialetto mantovano, italianizzato sugolo o sugo.


Sono svariati anni che non mi capita di mangiarlo e ieri, avendo comprato l'uva fragola, m'è venuta nostalgia. È tipico di questo periodo perché si fa durante la vendemmia, anche se la variante con l'uva fragola è forse meno conosciuta di quella tradizionale con l'uva nera o bianca da vino.


A differenza del procedimento raccontato da Ivana, mia zia, ultima depositaria della ricetta di famiglia, ha insistito molto nel fatto di non lasciar fermentare il mosto, perché, dice lei, se no prende un sapore a vino che a casa nostra non era particolarmente gradito. Evidentemente ci dev'essere anche a chi piace con quel profumo fermentato.

Nonostante gli anni di astinenza, mi ricordo benissimo però di certi bruciori di stomaco che a volte mi procurava il sugolo, senza essere mai riuscito a capire se era una questione di quantità, di varietà d'uva, di cottura o di chissà che altro, un inconveniente da mettere in conto che affronterò con sommo spirito di sacrificio qualora dovesse ripresentarsi...

Nel caso premunitevi di alka seltzer!

Ingredienti:
uva fragola (il succo si ridurrà a circa un terzo)
farina tipo 0 meno del 10% del peso del succo d'uva
zucchero (al gusto)
vaniglia (al gusto)
pizzico di sale

Procedimento:
da un chilo e mezzo di uva fragola ho ottenuto grossomodo 500g di succo filtrato. In base a questa quantità ci si regola poi con la farina, tenendo anche presente i gusti personali, a seconda che si desideri un sugolo più o meno denso. Con il 10% scarso di farina si otterrà la tipica consistenza da budino.
Per prima cosa lavare bene l'uva e scolarla. Sgranare gli acini in una pentola, rimuovendo i piccioli e cuocere a fuoco medio, mescolando di continuo. Man mano gli acini dovrebbero cominciare a disfarsi, nel caso potete aiutarli con uno schiacciapatate e quando vedrete i primi segni di bollore, spegnete e continuate a schiacciare in modo da estrarre tutto il succo. Quando il mosto sarà intiepidito, filtratelo dentro a un colino capiente, vedrete che questa è la parte più noiosa della faccenda perché il succo è piuttosto denso. Consiglio di pesare il recipiente prima e dopo in modo da calcolare il peso del succo per differenza. Per aiutarmi nella filtratura mi sono aiutato versando un po' d'acqua.
Finito di colare il mosto, assaggiate e decidete se aggiungere zucchero o meno. Facoltativamente potete anche aggiungere un po' di vaniglia.
Con una frusta amalgamate la farina setacciata che sarà al massimo il 10% in peso del succo.


Rimettete a cuocere mescolando continuamente e quando inizierà a bollire, il sugolo è pronto per essere travasato in uno stampo o altro recipiente.
Lasciate intiepidire prima di passarlo per qualche ora in frigorifero.

È un dolce profumato, dal sapore delicato e genuino, che difficilmente viene proposto nei ristoranti, chissà perché.

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