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lunedì 27 aprile 2009

Colchones de naranja

Cosa c'è di meglio di una bella giornata d'autunno in piena primavera per stimolare il pasticcere che è in noi?


Fra le notizie poco rassicuranti sull'epidemia influenzale porcina e il temporale che ci ha assillato tutto il pomeriggio, c'era ben poco da stare allegri, per cui ho deciso di fare i colchones, un panino messicano tipico della colazione domenicale che, per dare un'idea, ricorda parecchio i maritozzi. Questa versione è al profumo d'arancia e per questo motivo si chiamano colchones de naranja.
Dei panini simili vengono serviti caldi con un cuoricino di formaggio fresco fuso in uno dei nostri ristoranti preferiti a Città del Messico, la panaderia Bondi, dove alla domenica, se non si arriva per tempo, ci si ritrova a fare una fila di lunghezza sovietica davanti all'ingresso e per giunta si rischia di rimanere senza colchones, in senso materiale e figurato. Per chi si domandasse infatti cosa significa questo benedetto termine colchon, beh, non è altro che il comune materasso inteso anche come sofà e il nome deriva da questo aspetto a forma di collinette ed avvallamenti regolari che ricorda appunto la superficie del materasso.

Ingredienti:
300g farina tipo 00
100ml latte
40g burro
30g zucchero
1 arancia
1 uovo
1 cucchiaino raso di lievito di birra secco
1/2 cucchiaino di sale
un po' di burro per la spennellatura finale

Procedimento:
mescolare la farina con il lievito secco, lo zucchero e il sale. Aggiungere il succo dell'arancia spremuta, l'uovo, il latte e il burro ammorbidito. Si otterrà un impasto piuttosto appiccicoso che va impastato a mano energicamente su un ripiano di marmo possibilmente. Si lavora finché l'impasto arriva a staccarsi abbastanza facilmente dal ripiano, pur rimanendo piuttosto attaccaticcio sulle mani, a quel punto lo si prende e lo si lascia riposare una mezzora coperto. Passato il tempo con l'aiuto di un po' di farina lo si riprende e si forma una salsiccia da cui tirate fuori dodici porzioni (io sono stato casinista come al solito e me ne sono venute inspiegabilmente undici!)


Ricavate delle palline badando a lasciare i lembi dell'impasto nella parte sottostante, questo aiuterà a far lievitare i panini anche verso l'alto, senza che si aprano. Consiglio di disporli a griglia di 4 pezzi su 3 file in un contenitore quadrato, lasciando tra ognuno spazio sufficiente per raddoppiare di volume. Come già detto io ne avevo undici ed anziché fare tre file da quattro, ho fatto una specie di reticolo demenziale :-)



Metteteli in un posto riparato a lievitare, io di solito li metto nel forno con una ciotolina d'acqua scaldata nel microonde, in modo da creare un ambiente tiepido e umido.


Dopo circa 4 ore di lievitazione i colchones si erano gonfiati fino a coprire i buchi tra uno e l'altro. Li ho infornati a 200 gradi per una decina di minuti e poi li ho spennellati di burro fuso e lasciati cuocere per altri 10 minuti abbassando la temperatura a 180 gradi, con ventilazione.


Son venuti soffici soffici, un vero tripudio per le papille gustative.


Questi panini al mattino con un po' di burro e marmellata o un formaggio fresco e miele sono veramente spettacolari.

giovedì 23 aprile 2009

Flan de coco

Il flan de coco è una ricetta che con qualche variazione si può trovare in tutta la cucina caraibica e probabilmente anche in quella centro e sudamericana, così come in quella messicana.

Ultimamente mi sono cimentato spesso con i flan e ormai penso di averne penetrato i segreti.
Di fatto questo creme caramél al cocco è fatto usando una ricetta molto simile a quella del flan de piñones.

Ingredienti:
una noce di cocco fresca
125g di zucchero di canna tipo demerara
4 uova
1 scatola da 170g di latte evaporato
1 tazza (125ml) di latte
1 cucchiaino di estratto di vaniglia

Per il caramello
100g di zucchero semolato
qualche goccia di limone

Procedimento:
per aprire la noce di cocco ho usato il metodo mostrato da Sanjay Thumma, già noto ai frequentatori di questo blog. Si mette la noce di cocco nel freezer per 15 minuti, poi si tira fuori e si colpisce con colpi di martello tenendola in mano, finché non si producono delle crepe che consentono di rimuovere la parte legnosa esterna. Una volta rimossa questa parte, si taglia la parte superiore per poter versare il latte di cocco in una tazza, in attesa di usarlo.
In realtà non è necessario usare tutta la polpa, diciamo che la cosa va un po' a gusti o a pazienza, io ne ho usato circa la metà.
In attesa di grattugiare il cocco, sbattete bene le uova con lo zucchero, poi aggiungete il latte evaporato e quello normale, la vaniglia e il latte di cocco fresco.

A questo punto conviene fare i preparativi per la cottura: accendete il forno a 180 gradi, mettete a bollire il recipiente d'acqua dove cuocerete il flan a bagnomaria e preparate il caramello per rivestire lo stampo, come già spiegato nella precedente ricetta.
Quando lo stampo è pronto, grattugiate il cocco e mescolatelo al resto, poi versatelo nello stampo.
Infilate lo stampo nel recipiente d'acqua bollente e mettetelo in forno per circa 45 minuti.
Verificate la cottura con il solito stecchino che dovrà uscire pulito.
Il flan va lasciato raffreddare qualche ora e poi va messo in frigo per almeno un paio d'ore prima di servirlo.
Per sformarlo è sufficiente immergere lo stampo in acqua bollente per un minuto e poi con l'aiuto di un piatto si gira e si estrae con un deciso scrollone.
Il cocco grattugiato, essendo più leggero, tenderà ad accumularsi sulla superficie, che poi finisce sotto, quando si estrae dallo stampo, come si vede nella fotografia. Per mantenere il cocco amalgamato in modo più uniforme bisognerebbe aumentare la densità del composto, forse usando solo latte evaporato e riducendo di conseguenza il tempo di cottura, ma francamente non è che se ne senta la necessità.

Sardine ripiene agli aromi

E dopo una triade di piatti messicani, apro una piccola parentesi di cucina ebraico-marocchina.


Tempo fa comprai un libro di cucina ebraica che raccoglie ricette delle varie comunità sparse per il mondo, tra le quali, quella in Marocco, formatasi dopo la cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492, risulta essere quella più antica e numerosa del Nord Africa.

Tra i piatti proposti queste sardine ripiene agli aromi m'ispiravano particolarmente, sia perché adoro la cucina marocchina, sia perché adoro le sardine fritte.
Inoltre volevo combinare un secondo di pesce non troppo impegnativo con il primo a base di pasta, i maccheroncini di Campofilone al ragù di orata, già apparsi su questi schermi, per comporre un mini-menù ebraico.

Si tratta di un piatto molto saporito, facile da preparare, gradevolmente piccante, che si può offrire anche come antipasto. La ricetta originale prevede rosmarino al posto della menta che ho messo io. A me però le sardine sono sembrate ottime anche in questa variante.

Ingredienti:
12 sardine fresche pulite
20g di prezzemolo fresco
15g di coriandolo fresco
10g di menta fresca
10g di basilico fresco
2 spicchi d'aglio
2 cucchiai d'olio
1 cucchiaino di peperoncino macinato
mezzo cucchiaino di cumino macinato



Procedimento:
preparare un trito fine con tutti le erbe aromatiche, l'aglio e due cucchiai d'olio extravergine. Lavare e asciugare i filetti di sardina, cospargere il filetto con un cucchiaino di trito, coprirlo con un altro filetto, pressare e infarinare.


Friggere le sardine per 3-4 minuti in olio d'oliva o finché non sono ben dorate e servirle calde.

martedì 21 aprile 2009

Non tutti i mole vengono da cuocere (o da suocere)

Sì, lo ammetto la foto è la stessa dell'altro giorno, ma che ci volete fare, siamo in tempo di crisi e sto risparmiando le pile della fotocamera. :-)


In realtà oggi non propongo una ricetta in senso stretto, più che altro è un invito a provare una delle specialità più note della cucina messicana, il mole poblano.
Dato che la ricetta per la preparazione da zero del mole è tutt'altro che banale, la sola lista degli ingredienti prende quasi una pagina del mio libro di ricette preferito ed oltretutto non sono nemmeno tutti facilmente reperibili in Italia, il mio consiglio è di provare acquistando un mole poblano semi-preparato.
Poi magari un giorno che sarò in vena di masochismo mi metterò a fare il mole a partire dai semi di chile tostati :-P
Se il mole sia un'invenzione delle monachelle o meno, è questione tutt'altro che chiarita, come spiega in un bell'articolo Karen Hursh Graber.
E qui cade a fagiolo lo stupendo aforisma dello chef Fortino Rojas, riportato tempo addietro dal Cairoli: "c'è più storia in un mole poblano che in tutta la Florida".
E ti credo!

In realtà anche in Messico la stragrande maggioranza compra impasti di mole al mercato, magari aggiungendoci un piccolo tocco personale. Intendiamoci bene, non è come comprare spaghetti in scatola, che nel 99,9% dei casi sono per forza orrendi data la delicatezza della pasta, casomai il paragone può essere fatto con un buon ripieno per tortellini fatto da una di quelle rezdore modenesi che inspiegabilmente non si rassegnano ad andare in pensione.

Insomma, chi volesse provare questa salsa, tra i cui ingredienti figura il cacao potrebbe procurarsi una confezione di mole La Costeña, che vedete nella foto del sito Tlaloc (il Dio azteco della pioggia) di questo negozio di Torino.
E tra l'altro ho scoperto di non essere l'unico ad avere un debole per i prodotti La Costeña.
Una volta entrati in possesso del prezioso preparato, allestite un buon brodo di pollo e gallina e allungate la pasta del mole fino ad ottenere una salsa spessa e vellutata.
La salsa servirà per ricoprire i pezzetti di pollo o tacchino lessati nel brodo.

Il mole tipicamente è accompagnato da tortilla di mais e arroz a la mexicana, quello di colore giallo arancio nella foto, di cui sarebbe urgente mettere la ricetta, ma causa orario, mi riservo di farlo prossimamente.

E se proprio volete lanciarvi nella preparazione del mole poblano casero, beh, poi non dite che non vi avevo avvertito.

lunedì 20 aprile 2009

Militares de Paris

Non so spiegare bene l'origine di questo curioso nome: militares de Paris, cioé soldati di Parigi.


La ricetta proviene dal fido libro di ricette messicane Las fiestas de Frida y Diego annotate dalla signora Guadalupe Rivera Marín, figlia del grande pittore messicano.

Forse si tratta di una ricetta presa dal Nuevo cocinero mexicano, edito guarda caso a Parigi, un libro diventato una rarità per collezionisti, dato che, secondo quanto racconta la doña Guadalupe, quello era il libro di cucina preferito da Frida.
Curiosamente cercando questa ricetta su internet non è uscito praticamente nulla, salvo una curiosa pagina scritta da un'ignota blogger in vena di fantasie erotiche!

Si può dire quindi che si tratta di una riscoperta?
In attesa che lo sparuto gruppo di lettrici e lettori messicani confermi o smentisca, azzardo l'ipotesi che non si tratti di una delle ricette più frequentate, ma a torto secondo me.
Scorrendo gli ingredienti la prima volta rimasi molto sorpreso di notare una somiglianza notevole con l'impasto della sbrisolona mantovana, che è certamente una garanzia di bontà.

In realtà io avevo già provato a fare questa ricetta in un'altra occasione, ma avevo usato la farina di mais per tortillas ed il risultato non m'era piaciuto per niente. Siccome però avevo della farina di mais gialla, ho deciso di riprovare e stavolta i militares de Paris mi hanno entusiasmato.

Rispetto alla ricetta ho fatto qualche minima variazione: ho calato la dose di burro da 200 a 150 grammi perché l'altra volta s'erano squagliati. Inoltre li ho fatti un po' più piccoli, anziché ricavare 25 pezzi, ne ho fatti 32.

Ingredienti x 32 pezzi (mezza dose rispetto alla ricetta originale del libro):
150g farina di mais sottile
150g farina bianca tipo 00
150g zucchero
150g burro
3 tuorli d'uovo
100g mandorle tostate e macinate
32 mandorle (a scelta se pelate o meno)
pizzico di sale

Per la meringa francese:
3 chiare d'uovo
stesso peso di zucchero semolato macinato fine

Procedimento:
Ammorbidire il burro senza farlo sciogliere, 15 secondi di forno microonde bastano.
Lavorare le farine, lo zucchero, le mandorle tritate fini, il sale, il burro e le uova fino ad ottenere un impasto omogeneo.


Suddividerlo in 32 mini porzioni e ricavare delle formine nelle quali inserirete una mandorla extra.

Disponeteli su una leccarda da forno sulla quale avrete posto un foglio di carta da forno e infornateli a 180 gradi per 20 minuti circa o fino a quando il colore inizia a virare al rossiccio.


Lasciateli raffreddare (addirittura meglio se riposati una notte) e degustateli con la cosiddetta meringa "francese", cioé la meringa non cotta. Per qualche curioso motivo in Messico la meringa viene detta "italiana" quando è cotta, mentre è "francese" quando è cruda. La meringa francese si prepara molto semplicemente montando a neve ferma le chiare d'uovo messe da parte in precedenza e unendo un po' alla volta lo zucchero a velo, fino ad ottenere una crema compatta.

Prima di assaggiare ero molto scettico su questo abbinamento, ma dopo averlo provato lo ero decisamente meno!
Ora non resta che trovare delle formine che rendano un po' più giustizia alla bontà dei militares de Paris.

domenica 19 aprile 2009

Machacado con huevo

Come ho già avuto modo di dire altre volte, la colazione domenicale in Messico è un vero tripudio gastronomico. Non starò ora ad elencare tutti i piatti tipici dell'ora di colazione, dirò invece che stamattina, avendo scoperto una bustina superstite di machaca de res, abbiamo imbastito un'ottima machaca con huevos, un piatto che potreste trovare proposto a colazione in tutto il Messico del nord.


La machaca è carne bovina secca sminuzzata e la maniera tipica di consumarla consiste nel soffriggerla con un accompagnamento di chiles e cipolla e volendo pezzetti di pomodoro fresco.
Per chi è abituato alla classica colazione italiana a base di caffè espresso e cornetto, si tratterà di una specie di tortura suppongo :-)

Per chi fosse interessato alla storia di questo piatto può leggere i retroscena sul sito di Tía Lencha.

Ingredienti x 2:
50g di carne secca
4 uova
1 cipolla
chile serrano a piacere
1 pomodoro (opz.)
2 cucchiai di olio di mais

Procedimento:
far soffriggere la carne secca in due cucchiai di olio di mais.

Dopo qualche minuto aggiungere la cipolla tagliata a rondelle o anche più finemente se preferite e il chile serrano o in alternativa peperoncino piccante verde o rosso fresco. Chi vuole può aggiungere anche cubetti di pomodoro fresco, ma noi la preferiamo senza.

Quando la cipolla è appassita, aggiungere le uova e strapazzarle assieme al resto finché le uova non si saranno rapprese.

La machaca con huevos viene servita con accompagnamento di frijoles refritos (purè di fagioli) e tortilla de harina.


La tortilla de harina si trova facilmente nei reparti di alimentari tex-mex ma si può sostituire tranquillamente con la piadina romagnola sfogliata nostrana.

giovedì 16 aprile 2009

Tortillas di mais

E alla fine giunse il momento di parlare della tortilla di mais, inseparabile accompagnamento della maggior parte dei piatti tradizionali della cucina messicana, come ad esempio il mole poblano che vedete qui sotto.

Non so spiegarmi neppure io come mai ci sia voluto tanto tempo prima di rompere gli indugi, forse perché di solito capita di fare la tortilla di sera e alla sera non c'è mai luce sufficiente per i filmatini, forse perché quando volevo che la tortilla venisse come dico io non veniva esattamente così, insomma, sia come sia, qualche giorno fa abbiamo fatto tortillas e quando parlo al plurale non è per darmi delle arie, ma perché di solito la formazione è la seguente:

  1. sovrintendente... mia moglie
  2. alla macchina... l'erede
  3. alla piastra di cottura... io
Grazie al gioco di squadra fare le tortillas diventa un simpatico passatempo per tutta la famiglia.

Fare un'imitazione decente della vera tortilla de maíz qui in Italia non è facilissimo perché la farina di mais si trova solo in pochi negozi, di cui trovate un paio di indirizzi verso il fondo nella colonna di sinistra del blog.
Trattandosi poi di farina d'importazione non è nemmeno economicissima, il che suonerà abbastanza ridicolo per i messicani dato che in Messico ci sono poche cose economiche come la tortilla, che si compra appena fatta nei negozi di tortilla, dove te la incartano con quella carta grossa e marrone come usava fare con la pasta tanti anni fa qua in Italia.

Va detto anche che per molti italiani la tortilla di mais è praticamente sconosciuta perché le tortillas confezionate sono in realtà tortillas de harina, cioè di farina di grano tenero, di cui mi occuperò un giorno o l'altro, tipiche del messico del nord e della cucina tex-mex in generale.

La cucina messicana del centro-sud ruota invece intorno alla coltivazione del mais e la tortilla di mais ne è l'architrave.

Prima di buttarsi a capofitto nella preparazione della masa, vi sottopongo qualche simpatico video pescato sul tubo dove si vede la preparazione delle vere tortillas a mano, senza ausili meccanici, un po' come sanno fare i veri pizzaioli professionisti al contrario dei pizzaioli della domenica (come me). Anche il sapore fa fatica a rivaleggiare con l'originale, però si tratta di un buon compromesso, decisamente migliore di qualunque pseudo-tortilla confezionata reperibile qua.

Il primo video a metà tra il solenne e lo scherzoso è girato in una casa di contadini nello stato di Hidalgo e si vede la ama de casa preparare la tortilla macinando il mais sul metate (lo stesso strumento di pietra con il rullo usato anche per il cacao...) per poi ottenere una perfetta tortilla rotonda e sottile con un sapiente gioco di mani, il tutto con il sottofondo musicale del festoso huapango di Moncayo.



Il secondo video viene invece da Guerrero, dove due signore preparano tortillas belle grandi, da notare la seconda che girando e pestando su un piano con un sincronismo formidabile ricava una tortilla stupenda in nemmeno 15 secondi. Meraviglioso!



Da notare che in entrambe i casi le tortillas si cuociono su una piastra grande, il famoso comal, sul fuoco a legna.



Ingredienti x 8 tortillas circa:
una tazza di farina di mais bianco (detta maseca...)
mezza tazza di acqua tiepida
un pizzico di sale
un cucchiaio di olio di mais

La proporzione farina:acqua dovrebbe essere 1:1.25 circa. Io però mi regolo soprattutto al tatto, quando l'impasto è morbido e si stacca bene dalle mani, per me va bene.

Procedimento:
in un recipiente versare l'acqua tiepida sulla farina, un cucchiaio d'olio di mais per tazza di farina e un pizzico di sale. Impastare per qualche minuto fino ad ottenere una palla di impasto liscia ma abbastanza morbida. Coprire il recipiente con un telo umido e lasciar riposare per una mezzora o meno se avete fretta.
A me sembra che l'impasto riposato dia risultati migliori, però non ho prove scientifiche da esibire... :-)
Quando siete pronti, scaldate la piastra o le piastre su un fuoco medio. Attendete che siano ben calde prima di cominciare. A quel punto entra in scena l'ausilio meccanico che sostituisce la sapienza manuale delle impareggiabili cuoche autoctone e il miglior tortillero under 5 della zona, cioé l'erede:



La pallina d'impasto viene posizionata su un sottile foglio di plastica aperto a libro (ricavato ad esempio da un sacchetto per surgelare alimenti) e poi viene pressata fino a ricavare la tortilla. La tortilla viene staccata e appoggiata sul comal, cioé le nostre tecnologicissime piastre antiaderenti...sigh!



Le tortilla vengono girate dopo una trentina di secondi, con un po' d'esperienza s'impara a capire quando l'impasto è pronto semplicemente guardando il cambio di colore. In totale rimangono sulla piastra un paio di minuti o comunque finché non iniziano a comparire i primi segnali di arrossamento. Se vedete comparire delle braccia pelose, non vi spaventate, sono le mie.

In genere ci riteniamo soddisfatti dell'impasto se la tortilla alla terza girata inizia a gonfiarsi.


La tortilla deve rimanere elastica e non seccarsi, perché in teoria si dovrebbe riuscire ad arrotolare senza spaccarsi. Se la vostra tortilla ha questa caratteristica allora sarà certamente venuta bene. Per mantenerle calde è consigliabile usare uno di quei cesti rotondi appositi, rivestito da un panno e che si usa per servirle in tavola, dove ciascuno potrà preparare il proprio taco a piacimento, sia che si tratti di alambre, di cochinita, di mixiotes, di pipián verde, di carnitas o di pollo.


Prossimamente su questi schermi: i derivati della tortilla, ossia chalupas, sopes, huaraches, flautas, quesadillas, enchiladas, tostadas, tlacoyos e altri bizzarri nomi che ai più diranno ben poco, ma che al messicano evocano sicuramente nostalgia di casa.

Da notare che in Messico esistono vari tipi di mais, per cui si possono vedere tortillas blu, rosse e nere, grazie a varietà di mais che purtroppo sono minacciate di estinzione.

Qui si conclude questa breve rassegna sulla vera tortilla e sulle nostre volenterose ma un po' pallide imitazioni.

mercoledì 15 aprile 2009

Maccheroncini di Campofilone al ragù di orata

Questa ricetta è ispirata ad un piatto che gustai in uno dei ristorantini ebraici in via Portico d'Ottavia a Roma svariati anni fa, mi pare forse Il Ghetto che allora doveva essere l'unico ristorante kasher con tanto di autorizzazione del rabbino.


Se la mia versione sia kasher come l'originale o meno, non sono in grado di dire, magari se c'è qualche esperto di kasherut in circolazione mi saprà illuminare in proposito.
Il piatto originale erano tagliolini alla cernia, ma si sa che in mancanza di cernie nuotano anche le orate che è pur sempre un pesce squamato, così come previsto dal codice.

Quanto alla pasta, il trip per i maccheroncini di Campofilone me l'ha appiccicato un (ig)noto gourmet di Carpi che ogni tanto si aggira in questi paraggi e che, settimane or sono, mi regalò una scatola di tagliolini di Campofilone spacciandoli per maccheroncini.

A questo proposito mi piacerebbe anche sapere come mai il taglio tipico della pasta all'uovo è quello da 250 grammi.
Lo chiedo perché sembra una misura fatta da un dietologo più che da un pastaio.
A mio modestissimo parere una volta cotta risultano 4 porzioni striminzite, per cui sappiatevi regolare...

Ingredienti x 4 (scarsi):
250g di maccheroncini di Campofilone
4 filetti di orata (400g circa)
10 pomodorini
1 cucchiaio di prezzemolo fresco tritato
2 spicchi d'aglio
4 cucchiai di olio extravergine
mezzo bicchiere piccolo di vino bianco secco
un chile pasilla (opz.)
pepe nero q.b.

Procedimento:
si tratta di una ricetta piuttosto rapida da fare, per cui si può preparare il condimento mentre si scalda l'acqua per la cottura della pasta. Fate soffriggere in quattro cucchiai d'olio gli spicchi d'aglio schiacciati. Dato che ho chile pasilla in abbondanza, ne ho tagliato uno a striscioline e l'ho unito all'aglio, ma siccome la probabilità di trovare chile pasilla in vendita in Italia è simile alla probabilità di incontrare Salma Hayek sull'autobus, potete sostituirlo con un peperoncino secco nostrano poco piccante oppure con l'eccellente peperoncino di Senise.
Quando l'aglio ha preso colore, toglietelo e aggiungete i pomodorini tagliati in quattro parti. Fateli saltare per qualche minuto e poi aggiungete i filetti d'orata interi. Fateli cuocere per qualche minuto da entrambe i lati, finché non sarete in grado di togliere agevolmente la pelle.


Sfumate col vino bianco, pepate, aggiustate di sale e cuocete per un paio di minuti e coprite in attesa di cuocere la pasta.
I maccheroncini di Campofilone si cuociono molto rapidamente, è importante che siano al dente per poterli saltare in padella.


Mentre scolate la pasta, rimettete la padella del condimento a fuoco vivo e unite i maccheroncini, facendoli saltare per un minuto.

martedì 14 aprile 2009

Ricottine alla piastra con timo e sale nero delle Hawaii

Benché non abbia allestito nessun pranzo di Pasqua degno di questo nome, è stata sicuramente una Pasqua all'insegna della stravaganza gastronomica.

Ieri sera, per concludere degnamente queste divagazioni culinarie (di cui prima o poi toccherà dar conto qui) e per inaugurare finalmente la mia mini riserva di sali pregiati, ho imbastito questa cenetta frugale con delle ricottine alla piastra, come avevo visto fare in un ristorante greco, condite con timo, un filo d'olio e l'aggiunta personale di sale nero delle isole Hawaii.
Era da un po' che mi chiedevo come utilizzare degnamente questo sale dall'aspetto affascinante, ci voleva qualcosa di semplice che potesse essere nobilitato da questo ingrediente raffinato e ieri sera m'è venuta l'epifania.


Del mio recentissimo colpo di fulmine per i sali pregiati, va ritenuta responsabile l'ottima Laura, donna di poche parole :-) ma di manicaretti succulenti, oltre ad essere colei che mi aprì le porte del paradiso del panforte di Siena.

Ingredienti:
ricottine monoporzione, almeno una ciascuno
un pizzico di timo
un filo d'olio extravergine
sale nero delle Hawaii (cum grano salis...)

Procedimento:
scaldate per bene una piastra antiaderente e quando sarà ben calda, appoggiateci sopra le ricottine tagliate a metà. Per tagliare una ricottina a metà serve una certa rapidità d'esecuzione nel taglio, se no rimarrà attaccata al coltello.
Fatela sfrigolare finché non si formerà una crosticina e poi giratela velocemente sotto sopra. Quando si sarà arrostita anche dall'altra parte, servirla sul piatto con una spolveratina di timo, un filo d'olio e un pizzico di sale pregiato. Ideale se consumata con pita greca.

Sarà forse per la suggestione ma con il sale nero delle Hawaii mi sono sembrate ancora più buone del solito!

domenica 5 aprile 2009

Tarta de Santiago

Sebbene non sia mai stato in Spagna, cosa della quale mi vergogno profondamente, non sono del tutto ignorante in materia di cucina iberica, vuoi per via delle ricette esportate dagli spagnoli in Messico, vuoi perché i ristoranti spagnoli erano una delle mete preferite con gli amici durante il mio esilio dorato londinese.

Nell'immaginario italico tuttavia la cucina spagnola è sinonimo quasi sempre di paella, mentre invece come tutte le cucine di antica tradizione, quella spagnola vanta numerosissimi piatti e prodotti spiccatamente regionali.
La tarta de Santiago è un po' come il turrón de Jijona, una specialità tipica di una regione, la Galizia (con tanto di marchio IGP), divenuta poi nel corso degli anni una specie di gloria nazionale.

A questo punto una domanda s'impone: ma chi era mai questo Santiago per meritarsi una torta così buona?

Santiago altri non è che l'apostolo Giacomo il Maggiore, che la tradizione cristiana vuole evangelizzatore della Spagna. Ovviamente il famoso santuario di Santiago de Compostela, tappa finale dell'altrettanto famoso cammino è proprio dedicato a lui.

C'è da aggiungere che, se il povero Giacomo finì martire, decapitato con quella spada a cui si ispira il disegno dell'elsa della croce a lui dedicata e che funge da decorazione per la torta, non furono mica pochi quelli che nel Nuovo Mondo finirono a loro volta martirizzati dalle lame dei Conquistadores al grido di "por Santiago!" i quali, quando c'era da tagliare, mozzare e ardere vivi, non badavano a spese.

In realtà questa torta non nacque per essere dedicata a San Giacomo, ripercorrendo la storia della ricetta pare che in origine fosse semplicemente tarta de almendra, cioé torta di mandorla, poi ai primi del novecento una pasticceria di Santiago de Compostela inizia a decorarla con il motivo a croce e da allora la cosa ha preso piede fino a diventare imprescindibile.
Chi volesse ripercorrere la storia di questo dolce, potrà trovare notizie su wikipedia.

Di ricette di tarta de Santiago ne esistono diverse, questa è senza farina e l'ho trovata sul sito di Carmela, corredata da moltissimi commenti entusiastici, mi riservo di provare anche quella con, si sa, io sono per l'approccio scientifico-filologico!

Ingredienti:
200g di mandorle
200g di zucchero di canna golden caster
4 uova
zucchero a velo q.b.
farina q.b.
mezzo cucchiaino di essenza di vaniglia (opz.)

Procedimento:
Ebbene sì, ho montato le uova usando il mio Kitchen Aid. Grazie alla tecnologia fare la tarta de Santiago è una vera passeggiata. Si mettono le quattro uova intere nel recipiente della macchina infernale assieme allo zucchero e alla vaniglia e si alza gradualmente la velocità come se si dovessero montare le chiare e la si lascia sbattere finché il tutto non sarà diventato una strepitosa crema spumosa quasi completamente bianca.


Nel frattempo macinate le mandorle non tostate fino a ridurle in farina. Aggiungete la farina di mandorla un po' alla volta mentre l'aggeggio infernale va al minimo. Quando il tutto sarà ben amalgamato, prendete uno stampo da 24cm, imburratelo e infarinatelo.
Versate il tutto e infornate a 180 gradi per 30-35 minuti.
Verificate sempre con il solito spiedo la cottura interna.


Mentre si cuoce noterete che la torta si alzerà notevolmente. Da quel che ho visto nelle foto su internet, la torta raffreddandosi è destinata ad abbassarsi e secondo me non c'è nulla di strano dato che non ha farina e non la si vuole secca, ma vellutata al palato.


Una volta raffreddata la tarta de Santiago va rigorosamente decorata con la cruz de Santiago.
Io, da pasticcione quale sono, ovviamente dopo aver disegnato la croce di Santiago l'ho ritagliata in negativo, chissà a cosa stavo pensando, per cui ho pensato bene di spolverarla prima tutta di zucchero a velo e poi di cacao per metterci una pezza.

La torta mi sembra sia venuta veramente spettacolare, sofficissima, vellutata, una di quelle robe pericolosissime perché si rischia di mangiarsela tutta senza manco accorgesene!
Toccherà rifarla!

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