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martedì 1 gennaio 2008

Torta degli ebrei di Finale Emilia detta anche sfuiada ovvero tibuia

Ultimamente mi sono messo a leggere vecchi libri di cucina e riviste rimaste sepolte in polverosi scaffali per decenni ed ho scoperto di avere una piccola biblioteca.
Tra i vari libercoli tornati alla luce durante gli scavi archeologici ce n'è uno di cucina modenese, il primo volumetto di quattro, scritti tra il 1979 e il 1982 da Sandro Bellei e Ugo Preti, due autentiche autorità per quanto riguarda la cultura e la gastronomia modenesi.
Mentre leggevo "Un piàt éd mnèstra e un pcòun éd pan", primo tomo della saga "Cosa bolle in pentola a Modena", sono rimasto affascinato non solo dalla ricetta, ma anche dalla aneddotica legata alla Torta degli Ebrei di Finale Emilia, detta sfuiáda o anche tibúia, per cui mi sono armato di farina, burro e strutto, per fare sia la versione originale che quella apocrifa "sfornata" dall'apostata Alinovi che per massimo scorno e ripicca introdusse una parte di strutto al posto del burro.
Vi dico subito che anche in questo caso un ingrediente fondamentale è la pazienza, perché per tirare la pasta in sfoglie ce ne vuole parecchia. Ripensandoci a posteriori, può valer la pena di usare la macchina per la pasta per tirare la sfoglia ben sottile, mentre io mi sono auto-flagellato con la tiratura di ben 14 sfoglie a mano (ne ho fatte due già che c'ero e, non pago, ho suddiviso la seconda in otto parti...).
Meno male che nessuno è venuto a reclamare la cena nel frattempo.

Ingredienti per 6 persone: 500 farina tipo "00"
250g burro
250g formaggio parmigiano reggiano giovane (max 22 mesi)
15g sale
acqua (circa 250ml)

Procedimento: Impastate la farina con il sale e l'acqua (magari usando l'impastatrice...), lavorare l'impasto molto bene, deve risultare morbido e non appiccicoso, l'ideale è farlo su un piano di marmo. Più lo lavorate e meglio è, nel libro si parla di mezzora.
Mettete l'impasto a riposare per un'ora circa coperto con una tazza. Prima di stendere la pasta, preparate l'unguento che servirà per trattare la pasta, sciogliete quindi nel microonde o a bagnomaria o a fuoco bassissimo il burro.
Nella versione apocrifa sostituite 100g di burro con l'equivalente in strutto e mescolate i due grassi assieme.

Procedete quindi dividendo l'impasto in sei parti uguali (ma nella seconda versione li ho portati a otto, apocrifa per apocrifa...) e cominciate a stendere la prima in forma di rettangolo, il più sottile che potete. Se l'impasto è venuto bene, dovrebbe essere molto facile da stendere, elastico e resistente. Appoggiatelo su una teglia con un foglio di carta da forno sotto e poi cominciate a spennellarlo con l'unto. Procedete così anche per le altre 5 porzioni, sovrapponendole via via. Infine piegate in tre parti, cioé piegate un primo lembo per una lunghezza pari ad un terzo del totale e poi piegate il lembo opposto fino a coprire il primo, tipo fazzoletto (chissà se ho capito bene, non era chiarissima l'indicazione nel libro...).
A questo punto, sfruttando magari i rigori dell'inverno che quest'anno sembra finalmente fare sul serio, mettete il "mattone" coperto al fresco sul balcone, per una ventina di minuti, di sicuro si raffredderà molto più rapidamente che in frigo.
Una volta raffreddato il tutto, noterete che la sfoglia s'è indurita parecchio, la rimette sulla spianatoia e la rullate in un solo verso per allungarla fino a ridurla ad uno spessore di circa mezzo centimetro. Nella ricetta originale dice quindi di tagliarla in tre parti ed usare la prima parte per foderare una tortiera rettangolare, opportunamente imburrata e infarinata. Una volta foderata, cominciate a disporre il parmigiano reggiano tagliato a foglie sottili e spruzzando il tutto con acqua. L'acqua servirà per far alzare la pasta sviluppando il vapore durante la cottura. Non esagerate con l'acqua ne serve giusto un po'. Ricoprite quindi con la seconda sfoglia e con altre scaglie di parmigiano e gocce d'acqua, infine coprite con la terza che fungerà semplicemente da coperchio, saldando bene i bordi.
Infornate a 180 gradi finché la sfoglia non risulta ben sollevata e di colore rossiccio. L'interno, secondo la ricetta, non dovrà risultare asciutto bensì umido. Va servita appena sfornata o comunque ben calda, ma posso dire che le inevitabili briciole erano deliziose anche fredde il giorno dopo.

In realtà nel secondo tentativo che vedete sotto non ho usato la tortiera come nel primo caso, ma mi sono limitato a fare una bella mattonella chiudendo i bordi laterali e mi sembra che venga molto bene comunque.


Il risultato mi è sembrato qualcosa di succulento, tipicamente da giornata invernale, tant'è che nel libro si racconta di questa torta venduta a tranci per le strade nebbiose di Finale Emilia, un posto dove negli inverni umidi e freddi, come quest'anno, la sfuiáda può certamente fornire l'opportuna dose di energia per scaldarsi.
E se trovate una copia dei libri di Bellei, ve li raccomando, sono sempre una fonte interessante di aneddoti, curiosità e citazioni che ne rendono piacevole la lettura anche lontano dai fornelli.

11 commenti:

Me ha detto...

Che bella la torta degli ebrei, dici che per i cattolici va bene lo stesso? :)
Tlaz, ieri il tuo blog non si apriva, il tuo telefono squillava ma nessuna risposta (pure stamattina)e il tuo msn completamente morto.
Ma ci eviti? :)))))
In tutti i casi, grazie di cuore.

Byte64 ha detto...

Sibbbbì, dev'essere stato un problema temporaneo perché non me ne sono nemmeno accuort! ;-)

Ma a quale telefono ti riferisci?
MSN non lo sto usando perché sul Mac non esiste (per fortuna...) :-D

Tornando alla sfuiada, certo che possono, a patto di metterci il vietatissimo strutto ripetendo quindi le gesta dell'Alinovi.

Anonimo ha detto...

Scusa se il commento che sto lasciando non c'entra assolutamente niente con la fantastica ricetta che hai postato. Volevo chiederti se per caso sapevi dirmi come preparare le alette di pollo marinate e fritte che avevo assaggiato qualche tempo fa in un fantastico ristorantino messicano.
Grazie in anticipo e complimenti per il blog!!

Byte64 ha detto...

Grazie Imma,
ma quando dici ristorantino messicano, ti riferisci al Taos cafè di Modena per caso?
Le alette che dici, sei sicura che fossero fritte?
Erano impanate?

Anonimo ha detto...

forse non si tratattava propriamente di alette di pollo, in ogni caso il pollo era fritto, di questo sono certa. E la particolarità stava nel fatto che, essendo la carne marinata, acquisiva un sapore unico che solitamente non può vantare la carne di pollo.
Spero di essere stata un pochino più chiara!

Byte64 ha detto...

Imma,
se vuoi marinare il pollo o anche altri tipi di carne con una marinatura proprio messicana devi procurarti il famigerato achiote che qua da qualche parte chiamano annatto, quello si scioglie con un po' di succo d'arancia o di limone e si usa per strofinare la carne. Questa spezia si usa anche per la marinatura della cochinita (il maialino) ma si tiene più liquida perché si lascia a bagno la carne con altre spezie.
Ciao!
Tlaz

Anonimo ha detto...

caspiterina... Tlaz, stai iniziando bene il nuovo anno, non ti fermi davanti a niente..
complimenti per la ricetta

Byte64 ha detto...

Lucià,
pensa che ho messo in linea sì e no la metà delle ricette che mi sono sbizzarrito a fare durante le feste, purtroppo mancano tutte quelle di cucina marocchina prese dal famigerato libro comprato in Messico (!), ma forse una o due riesco a metterle prima o poi!

ariarossa ha detto...

Bella bella anche questa ricetta!

Anonimo ha detto...

Niente di che, solo un saluto da Finale Emilia...

Byte64 ha detto...

I saluti sono sempre graditi, Patrizia!

Ciao,
Tlaz

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